venerdi sera gruppo di ricerca medianica e spiritismo

Quelli che sono morti non se ne sono mai andati sono nell’ombra che si rischiara e nell’ombra che si ispessisce I morti non sono sotto la terra sono nell’albero che stormisce, sono nel bosco che geme, sono nella dimora, sono nella folla Ascolta più spesso la voce del fuoco, odi la voce dell’acqua ascolta nel vento del cespuglio i singhiozzi è il soffio degli antenati I morti non sono sotto la terra, sono nel seno della donna. sono nel bimbo che vagisce sono nel fuoco che si spegne

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29 marzo 2016

venticinquemarzo 2016

Quando penso alle pennellate alla bolla il pensiero successivo è quello dei sepolcri imbiancati, che non sono altro di quei dotti, di quei preti, di quei farisei che, morti alla ricerca, oramai defunti alla ricerca e incapaci di trovare il bandolo della ricerca, imbiancano le proprie tombe dell'essere morti, imbiancano con pennellate vivide che possono permettere di rendere visibile il loro essere, di rendere concreta la loro autorità, di coloro che proprio per il candore di quei sepolcri, diventano il simulacro della verità, ma non sono altro che morti alla ricerca coloro che sono convinti e certi di avere in mano il verbo, la verità; hanno rinunciato a cercare, non sanno in quale modo farlo e si aggrappano a dogmi che impongono come dotti e saccenti mentre invece dovrebbero cercare con una spatola di ripulire tutti quegli strati di vernice che sono solo serviti a coprire la verità, la verità di ciò che sono. Ma questo processo verrà indotto comunque, non sarà una scelta, ma la morte li costringerà, la morte fisica, a cercare di scrostare per giungere alla sostanza dell'essere. Cercare non è pratica facile, tranquilla; può essere sofferente, può essere faticosa, ma è l'unico modo per cercare di rendere visibile l'essenza dell'uomo. Colui che cerca deve scarnificare, scrostare, demolire, aggredire a brandelli quella bolla affinché il proprio essere divenga comprensibile, visibile,e il vivere di questa persona che cerca divenga testimonianza, divenga modo individuale sempre, mai per forza comune, mai per forza esempio per altri, ma come possibilità, come testimonianza di ricerca, affermazione di aver trovato. Però coloro che hanno una posizione di prestigio, desiderosi di essere faro e fulcro di chi attorno a loro si trova subiscono quel veleno di cui ho parlato la volta scorsa: il bisogno di essere riconosciuti, di conseguenza essere considerati tali da essere maestri, uomini buoni. Ma ripeto, sono morti a se stessi, sono morti alla ricerca, sono sepolcri imbiancati. Riguardo all'arazzo ora. Io tempo fa vi dissi che quando l'uomo attraverso l'arbitrio afferma la voglia, il desiderio di incarnarsi, crea un vuoto in quell'arazzo e quel vuoto non può che essere colmato da colui che ha scelto, volente, di affermare la propria individualità... ma non esiste possibilità di variare la verità dell'arazzo, è immutabile come è immutabile l'Essere Unico. L' Essere Unico non può essere cambiato ma può essere solamente affermato e scelto; la stessa cosa vale per l'arazzo, che non è altro che la raffigurazione dell'Essere Unico, quella grande immagine che tutti comprende, pertanto credere di poter migliorare l'arazzo portando quella che è la propria testimonianza della ricerca avvenuta attraverso l'incarnazione, non è cosa vera. Ma sicuramente quel colmare quel vuoto creato attraverso la scelta dell'incarnazione è sicuramente l'espressione migliore che l'uomo possa raggiungere. Pertanto è vero che esiste – è difficile chiamarlo merito- ma è vero che esiste la possibilità per l'uomo incarnato di raggiungere la massima potenza della realizzazione di se stesso, che non è altro che l'affermazione precisa e puntuale di quello che era prima che scegliesse di essere incarnato, prima di creare quel vuoto... e quel vuoto non può che essere colmato da colui che ha scelto l'incarnazione. Ma ripeto, non si può mutare la verità dell'Essere unico, di conseguenza dell'arazzo; capisco che possa essere difficile comprendere tutto ciò, perché quello che stiamo cercando di fare qui e ora è quello di rendere concreta e comprensibile l'essenza dell'Essere unico, qualcosa che trascende i limiti della concretezza, i limiti...è quasi impossibile parlare perfino di limiti...però se cerchiamo di tradurre per quella che è la mente dell'uomo questi concetti, dobbiamo cercare di creare delle immagini e , secondo me, l'immagine dell'arazzo è l'immagine più precisa e puntuale per definire ciò che è l'Essere Unico. Un Essere Unico che non può mutare, ma proprio perché è anche per quella individualità che decide l'incarnazione non muta l'essenza dell'Essere Unico ma semplicemente l'abbandona per affermare la propria capacità di scelta, di espressione di arbitrio, celando nel profondo di sé stesso la consapevolezza e la verità di che cosa sia l'Essere Unico insito in sé stesso, ed è impossibile che possa mutare questa condizione. L'uomo che s'incarna non abbandona mai quella che è la verità dell'Essere Unico, ripeto, non può fare altro che cercare di allontanarla dalla propria consapevolezza attivando quella che è la mente, il ragionamento e la convinzione non falsa, vera, di poter scegliere attraverso il libero arbitrio. Per l'essere incarnato è consentita la negazione della verità e se noi vogliamo chiamarlo peccato possiamo tranquillamente farlo, basta che non colpevolizziamo colui che pecca. Ormai è pacifico, chiaro e comprensibile che colui che nega la verità è vero per ciò che è tale, per la sua capacità, proprio perché l'arbitrio è una componente indispensabile: se così non fosse, mai si sarebbe incarnato, se così non fosse, mai avremmo creato quel vuoto nell'arazzo creando una dinamicità. Già ve lo dicemmo che la struttura, l'architettura, viene sorretta da scelte di arbitrio e tanto più il volano viene frenato da negazioni di verità, tanto più concreta e solida è l'architettura. Pertanto se così non fosse, se non ci fosse colui che negasse la verità, probabilmente non esisterebbe la creazione. Però vorrei ancora ripetere: non è possibile credere che l'arazzo possa essere variato. Noi possiamo semplicemente prolungare quella che è la nostra occasione, la nostra occasione di ricerca, ma finiremo sempre ad affermare la verità dell'Essere Unico. Perché tutto ciò? Potrebbe essere anche comprensibile porsi questa domanda ma credo sia difficile poter rispondere da uomini che pensano, respirano e camminano. La staticità dell'arazzo è la vera e unica sostanza dell'arazzo. Per degli esseri che vivono, si muovono, vogliono, decidono, e che possono negare la verità, appare incomprensibile: io posso, io posso peccare, io posso negare la verità e nessuno può impedirmelo...perché io posso, perché il libero arbitrio mi è stato dato e io me ne sono appropriato e l'affermo testimoniando la mia individualità. Nessuno può obbligarmi di recedere da questa possibilità. Può apparire sciocco ma è lecito anche affermare “Dio me l'ha dato e io me ne faccio padrone”, però quel vuoto che è stato creato prima della vostra nascita non può che essere colmato tale e quale come fu prima che fosse scavato, formato. Dove lo mettiamo il merito in tutto questo discorso, dove mettiamo la possibilità dell'uomo in tutto questo discorso? Io credo che se vi interrogaste veramente su questa domanda trovereste anche la risposta, che non è certo un valore comune per forza, ognuno di voi può trovarne senso, motivo, comprensione senza temere, nel momento fosse diversa da quell'altro, di sbagliare. L'arazzo è qualcosa di grandioso, talmente grande che è inconcepibile, ma è nella sua concentrazione, nella sua unicità che perde ogni dimensione...dove tutte quante le domande, i dubbi e le motivazioni perdono senso. Ma se ciò fosse comprensibile per l'uomo, più esso non sarebbe tale ma avrebbe affidato alla verità dell'Essere Unico ogni sua possibilità di arbitrio. È buona cosa credere di portare qualità, è buona cosa credere di portare pregio, è buona cosa credere di meritare per aver perseguito la ricerca...credo proprio di sì, e il veleno sottile non è certo nelle cose in cui ci interroghiamo, il veleno sottile è quel bisogno di essere riconosciuti, pertanto spennelliamo quella bolla, strati su strati, affinché esista il consenso, l'accettazione e la santificazione dell'individuo. Non abbiamo bisogno di colori cangianti, non abbiamo bisogno....... E' sufficiente per questa sera. Cerchiamo quello che è il nostro luogo comune, quello stagno dove perderci, dove dissolvere le nostre individualità affidandoci. Camminiamo verso quell'acqua, abbiamo bisogno di essere da essa toccati, abbracciati. Siamo noi che scendiamo verso di essa, è una nostra scelta, è una nostra volontà, è un nostro arbitrio, certi e consapevoli di trovare pace e dimensione, visione e verità in quell'acqua. Lasciamoci da essa sommergere fino a perdere quelle fattezze che ci definiscono come uomini, individui; perdiamo peso, misura, sensazione. Credere che siamo noi a definire quella tonalità che sarà il particolare di quell'arazzo non è presunzione ma sempre e solo riconoscere la propria essenza. Essere convinti dell'autodeterminazione, della presenza, dell'identità, non è presunzione ma semplice certezza di essere noi quella tonalità.