venerdi sera gruppo di ricerca medianica e spiritismo

Quelli che sono morti non se ne sono mai andati sono nell’ombra che si rischiara e nell’ombra che si ispessisce I morti non sono sotto la terra sono nell’albero che stormisce, sono nel bosco che geme, sono nella dimora, sono nella folla Ascolta più spesso la voce del fuoco, odi la voce dell’acqua ascolta nel vento del cespuglio i singhiozzi è il soffio degli antenati I morti non sono sotto la terra, sono nel seno della donna. sono nel bimbo che vagisce sono nel fuoco che si spegne

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20 settembre 2015

undicisettembre 2015

Quando la volta scorsa vi dissi che io non sono in grado di cogliere quale fu la vostra scelta prima dell'incarnazione e che oltre ad avere visione di quella che è la mia non posso altro fare, la stessa cosa vale anche per voi e, credetemi, la scelta indirizza tutta quanta la ricerca dell'essere incarnato perché è proprio la scelta che crea quel disequilibrio che porta l'uomo a cercare, pertanto quelle che sono le esperienze, i modi di ricerca di ogni individuo, sono originali...non sono comuni a nessun altro, non potrebbe essere che così. Pertanto ciò dovrebbe farvi capire il motivo per cui non si debba giudicare la ricerca di altri; ad esempio, parlando dell'incarnazione, potrebbe far parte della ricerca di qualcuno, certo, diventare verità, ma non posso per nulla io dire che non sia possibile, che non sia vera la visione legata alla reincarnazione; posso semplicemente dire io in rapporto ad essa come mi pongo. La cosa che più mi dà fastidio, nella quale non mi riconosco, è il fatto che alla fine di una vita legata alla catena delle vite, la nascita successiva possa avere caratteristiche e condizioni legate a un merito o ad un demerito, quasi il frutto ed il giudizio di una vita. Così non può essere, non mi ci sta nel mio modo di vedere e sentire, per quello che intravedo come mia possibile scelta di cammino. Io credo che la vita che andrò a vivere sarà l'occasione, sarà il momento, pertanto fino in fondo dovrò essere presente in quel vivere. Riguardo alla ricerca oggi, proprio perché esiste quell'azzerare dopo la nascita, la ricerca parte da un punto senza basi solide. Il primo bagaglio, la prima esperienza crea gradino sul quale sporgersi verso il passaggio successivo; i momenti più importanti, quelli che io chiamo grani di consapevolezza, passano attraverso gli errori, i peccati..che chiamarli ora errori e peccati mi sembra il distorcere, mi sembra una cosa senza senso perché se l'errore ed il peccato diviene grano di consapevolezza, non può che essere buona cosa, benvenuto, che sia da augurare a tutti quanti l'errore, affinché attraverso esso si possa comprendere come indirizzare la ricerca, come nuovamente reindirizzare la ricerca. Quando avviene lo sbaglio si può ancora ripetere o scegliere possibilità diverse ancora che allontanino da quella che è la destinazione posta alla nostra ricerca, ma ben vengano anch'esse perché la scelta che porterà il timone diritto verso quella destinazione sarà assodata attraverso una serie di verifiche. Quando si cerca per trovare, ciò che si trova è qualcosa che non abbiamo, qualcosa che ancora ci manca e tanto più è così quando la ricerca ha inizio, quando il bagaglio è ancora leggero, quando le basi sono ancora effimere, poco solide. Nel proseguo della vita ciò che troviamo non è più qualcosa che non abbiamo, ma è qualcosa che avevamo e che oggi più non abbiamo e ci manca, perché ci avviciniamo a quella che è la comprensione della scelta, la ricerca comincia a collimare con la destinazione che la scelta aveva posto, pertanto quello che troviamo è qualcosa che riconosciamo perché appartiene proprio a quella scelta. Possiamo chiamarla saggezza, conoscenza, maturità, per cui, se nella fanciullezza dell'essere tutto ciò che troviamo è qualcosa che semplicemente ci manca e che impariamo a farne uso per spingere ancora più in là la ricerca, quando il cammino diventa più stabile, proficuo, quello che troviamo è qualcosa che riconosciamo, se non nella concretezza di ciò che avviene, in quella traccia sottile che scalda il cuore. Il riconoscimento della scelta avverrà alla fine della ricerca su questo non vi è dubbio. Il sentirsi unica cosa con quella che fu la scelta, sentire di essere là dove si era deciso di voler essere, di essere cosa si era deciso di essere. Ma benedetti siano gli errori non possiamo pretendere che chi ha iniziato la ricerca possa essere in grado di indirizzare chi gli è stato affidato.... e possiamo credere che sia giusto che dei genitori educhino, forzando quello che è lo sbigottimento, l'errore, la difficoltà, la reazione, la ribellione, il negare per presa di posizione, semplicemente per allontanarsi, per affrancarsi, per gridare alto il proprio nome. Tutto ciò crea urgenza e a volte sofferenza, ma anche essa è propizia, aiuta a scavare, aiuta a rendersi in grado di leggere ciò che è il proprio divenire. La ricerca senza intoppi, senza scelte al bivio che portano lontano, la ricerca stanca, è ricerca vuota, è ricerca attraverso la quale non si è in grado di comprendere, perché è talmente semplice che non costringe il bisogno dell'espressione delle tre componenti... e torniamo ancora ad esse; cercare vuol dire essere nella completezza, porsi là difronte alla scelta nella completezza e, come già molte volte vi dissi, la forza di ogni singola componente varia a seconda di ciò che state trovando più che cercando. Lo sguardo dritto sulla propria via, senza aver timore di divergere da quella di chi sta accanto saldi nella certezza di non giudicare perché giudicare vorrebbe dire precludere la possibilità di comprendere. A volte mi chiedo se questo mio dire riguardo alla ricerca appartenga più a voi o a me... io che ancora credo di avere visione sgombra, io convinto di aver fatto la scelta e semplicemente devo affrontare questa mia scelta oppure voi che in questo cerchio divenite corpo unico e io in esso con voi. La sensazione di trovare qualcosa che ci apparteneva, la sensazione di essere qualcosa che siamo sempre stati, è traccia preziosa. Il bandolo della matassa passa attraverso il riconoscimento di se stessi come capo ma, ripeto,benvenuto è l'errore, benvenuto è il peccato, benvenuta la crisi. Quello stagno ora vorrei che anche voi aveste il bisogno che io ne ho. Immergiamoci in quell'acqua, siamo noi che ci muoviamo verso di essa e il nostro movimento porta l'acqua a salire a lambire i vostri corpi, a carezzarli rassicurandoli nella protezione. L'acqua sale fino a coprirci completamente... tutto quanto si ferma. Poniamoci ora al di fuori e al di sopra, in quello spazio dove nulla ci impedisce di cogliere chi è con noi. La malattia a volte è lo strumento che ci permette di giustificare l'incapacità di abbandonare coscientemente l'individualità. La malattia diviene lo strumento che porta al passaggio, consapevoli della propria incapacità, convinti che sia il mezzo per poter risolvere ciò che non è possibile, senza attraverso un moto di volontà. La malattia diviene l'alibi,la giustificazione; abbandonarsi ad essa, usandola, pare riaprire scorciatoie, possibilità, uscite di sicurezza...ma ormai sappiamo che così non può essere. Non sarà certo la morte che impedirà il superamento cosciente dell'individualità. Io sono stata incapace di esprimere arbitrio nel mio divenire, ma la colpa è da imputare alla mia malattia che non mi ha reso capace, che mi ha privato di quelli strumenti che mi permettessero di capire. La malattia mi ha imprigionato, la malattia mi ha costretta al muro incapace, la malattia mi ha tolto la colpa. Ma ora è tutto chiaro, non c'è dubbio alcuno, ho trovato. Torniamo in quell'acqua... c'è un legame prezioso che ci unirà a ritroso. Emergiamo ora, sentiamo la carezza di quell'acqua che pian piano scende, ci lava...........