venerdi sera gruppo di ricerca medianica e spiritismo

Quelli che sono morti non se ne sono mai andati sono nell’ombra che si rischiara e nell’ombra che si ispessisce I morti non sono sotto la terra sono nell’albero che stormisce, sono nel bosco che geme, sono nella dimora, sono nella folla Ascolta più spesso la voce del fuoco, odi la voce dell’acqua ascolta nel vento del cespuglio i singhiozzi è il soffio degli antenati I morti non sono sotto la terra, sono nel seno della donna. sono nel bimbo che vagisce sono nel fuoco che si spegne

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25 marzo 2014

ventunomarzo 2014

Di proposito l'ho chiamato gioco e non compito, non lavoro. L'avrei accresciuto di peso, creando ulteriore oppressione, ma è la nostra ricerca ed essa va perseguita, alimentata. Io vorrei che il mio invito a trovare, a definire meglio quali sono quelle parti di voi che avete consapevolmente abbandonato, riconoscendo in questo abbandono la dichiarazione di un esaurimento, di termine di queste particolari condizioni, di questi vostri modi di essere, ma ricordandovi però che ciò che avreste lasciato e che già avete lasciato ha da me essere caricato. Pertanto il mio invito non era quello di andare a svuotare il cestino dei rifiuti dove avete buttato ciò che avete considerato inutile, negativo, sbagliato, ma andare a cercare quelle parti di voi, quei brandelli, quelle componenti precise e vostre che sono state importanti nel vostro vivere fino ad oggi o fino al momento in cui avete reputato giusto accantonare. Frammenti utili, importanti, fondamentali, e questo riconoscimento deve essere la motivazione per cui li affidate a qualcuno al quale volete bene, come spero che sia questo il sentimento vostro nei miei confronti, quasi ad augurare il carico, quale fosse un augurio, il giusto dono, l'arma necessaria. Ciò che è stato il vostro vivere fino ad oggi è stata la definizione sempre più precisa di ciò che voi siete, questo già altre volte ve lo dissi. La prima parte, la maggior parte del vivere dell'uomo è proprio la definizione di quell'uomo, di quell'individuo, per giungere al culmine di questa definizione, precisa, puntuale, accurata, lucida...per poi scegliere pian piano di abbandonare, di cedere certi e convinti di aver affermato precisamente, definito accuratamente ciò che l'individuo è. Solamente il giungere potrà iniziare la parabola che porterà al cedere consapevole dell'individualità. Chi pensa di praticare scorciatoie impedendosi quell'accurato -sì- lavoro di definizione, sbaglia, spreca. Credere che questo sia il percorso indispensabile, rende prezioso ciò che abbandonate, diventa augurabile, diventa dono se affidato a qualcuno che voi amate. Ripeto, non cercate di vuotare il cestino dei rifiuti, non è questo. È indispensabile sentire la mancanza di ciò che abbandonate? Questa è semplicemente la paura della vostra mente, rafforzata, armata, protetta da quella che era la definizione riconosciuta dell'individualità; se sarete davvero consapevoli padroni di voi stessi, la semplice consapevolezza di ciò vi renderà immuni al timore, allo scoprirsi indifesi ed incapaci, pronti a cedere, pronti a riconoscere il tranquillo e consapevole bisogno di cedere. L'uomo deve essere padrone consapevole di sé stesso, deve riconoscere il valore e l'unicità del suo essere individuo; la consapevolezza di ciò rallenterà la tensione, l'urgenza, il bisogno e la paura conseguente. Il vostro cedere sarà un dono, il vostro cedere sarà un'offerta, un augurio. Che tutto ciò sia però un gioco nella leggerezza di questo gioco, nel piacere di di assecondare il gioco. Se così non fosse, se l'urgenza ed il timore creassero difficoltà, stanchezza, non è bene ciò; diverrebbe compito, lavoro, obbligo. Io credo che voi ed io avremo tutto il tempo necessario. Ci sarà un giorno che passeremo spalla a spalla, ci sarà un giorno che simili e davvero fratelli saremo, capaci di guardarci per quello che siamo e saremo, riconoscendoci come emanazione dell'unica Matrice, ma non esiste fretta, urgenza, e non ci deve essere timore di perdere l'occasione: essa è garantita. Ogni essere, ogni individuo giungerà là dove deve. I timori, le paure, il timore di rimanere scoperti, indifesi, non protetti, di trovarsi di fronte a ciò che non è conosciuto, a ciò che potrebbe ferire, creare dolore, sofferenza, buio, freddo, sono un salvagente, sono un bisogno, sono la giustificazione a non essere liberi di giocare, di metterci in gioco liberi e trasparenti, vulnerabili, visibili. Ripeto, verrà il giorno in cui passeremo spalla a spalla e ci riconosceremo. Esistono manifestazioni nell'uomo ben difficili da comprendere, ma talmente usuali e scontate nel credere siano tali perché consapevoli -vivendole- che siano reali, che subiamo, che lasciamo che scorrano su di noi quale vestito conosciuto, per una citazione che non ha motivo né logica...ma il riconoscimento è talmente certo e assoluto, senza motivazione, senza dubbio, che il bisogno di interrogarsi, di valutare per capire, motivandone l'essenza reale. Da dove viene questa cieca fiducia, questa inconsapevole sicurezza che rende reale qualcosa che non ha motivo per esserlo, questo credere che definisce minuziosamente, costruisce, compatta e concretizza, senza domandarsi se quell'abito è un sudario oppure una veste..ma può divenire sudario o veste nella convinzione che tali sono? È il timore del compito, del lavoro e della valutazione. È quieta certezza o disperata rassegnazione, è tranquilla fiducia o timore di non poter comprendere? Dare spazio a quei pensieri rende attiva e reale quella goccia di acido che prima brucia e poi si scava la via e diviene dolore sordo, incomprensibile.....