venerdi sera gruppo di ricerca medianica e spiritismo

Quelli che sono morti non se ne sono mai andati sono nell’ombra che si rischiara e nell’ombra che si ispessisce I morti non sono sotto la terra sono nell’albero che stormisce, sono nel bosco che geme, sono nella dimora, sono nella folla Ascolta più spesso la voce del fuoco, odi la voce dell’acqua ascolta nel vento del cespuglio i singhiozzi è il soffio degli antenati I morti non sono sotto la terra, sono nel seno della donna. sono nel bimbo che vagisce sono nel fuoco che si spegne

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20 aprile 2013

cinqueaprile 2013

Ancora e di nuovo del superamento cosciente dell'individualità. Il suicida, di certo cosciente è la scelta. Si può affermare che la disperazione ti impedisce di scegliere; io non credo che sia così. Superamento cosciente dell'individualità...è indispensabile che ci sia l'equilibrio delle componenti e credo che quando qualcuno decide di non essere più uomo abbia in superficie tutt'e tre le componenti, nessuna coperta, nessuna nascosta. Esistono altre forme, esseri estranei al mondo, lascia ciò che hai e ciò che sei; in fondo è la libertà più grande, quella che l'uomo possiede nel gestire il proprio essere uomo: affermare precisamente la propria scelta. Parlare di disperazione ci risolve tante cose, ci impedisce di accettare la possibilità e l'affermazione della scelta..e quale scelta è più grande se non quella di superare la propria condizione umana, terrena? Certo, potremmo chiederci se colui che afferma quella scelta è in grado di in piena libertà scegliere, ma nessun vincolo lo costringe; allora la domanda successiva è domandarsi se era pronto a fare ciò che ha fatto, ad abbandonare quello che è lo strumento principe dell'uomo, la continua affermazione di libero arbitrio attraverso scelte, ma scegliere fino in fondo di ciò che noi siamo ci impedisce di essere costretti al muro e subire la scelta che una malattia, la costrizione di un incidente, l'impotenza, essere privati della possibilità di scegliere per l'ultima volta. È difficile comprendere, giudicare o dare senso ed è anche inutile -io credo – farlo. Torno al discorso che abbiamo fatto venerdì scorso: il fin di bene, mentire affinché non soffra chi ci sta attorno, mentire, rimandare, posticipare, travestirsi ancora e ancora. Prendere coscienza dell'incapacità di dare senso e modo al nostro vivere ci pone davanti alla scelta. Dobbiamo accettarne la domanda, ci compete. Noi abbiamo la possibilità, abbiamo la forza, abbiamo la libertà. Quando si parla di scelta lucida, consapevole, misurata, quando le tre componenti sono presenti in quell'attimo, quando non si intravede nessuna via d'uscita che porti nella direzione da noi scelta, è inutile mentire, non vi rimane scampo. Dovremmo preparare chi lasciamo, dovremmo tergiversare e prendere tempo? Credo che non sarebbe giusto; questo bisogno di dare senso non ha motivo, a nulla serve se non a inficiare la scelta libera. Siamo certo al limite, siamo ai bordi. Accettare la morte, dare ad essa senso e motivo, riconoscere essa tappa di quella strada che abbiamo riconosciuto. Nulla cessa, tutto continua. Se vuoi permettere agli altri di vedere e riconoscere quali sono i colori che sono sulla trottola, quando vuoi donare a chi vuoi bene la fedeltà di ciò che tu sei, la precisa misura del tuo essere, quando non ti è possibile permettere agli altri di vedere ciò che tu sei, quando ti accorgi di non essere grado di poter dare pienamente te stesso nella misura precisa della tua essenza, dell'equilibrio delle tre componenti, accettare e cessare la rotazione affinché tutto quanto si fermi e precisamente tu possa esprimere quali sono i tuoi colori, i tuoi disegni e le tue vere fattezze. Offriamo la nostra vita per definire con precisione, per scoprire e permettere la visione di ciò che noi siamo...e ci accorgiamo che ciò che noi diamo agli altri con il desiderio della misura del nostro essere, ritorna inconsapevole e ancora celato nella sua incapacità di mostrarsi; questo tornare a noi ci offende, ci rende falsi ed invisibili e l'unica possibilità è far cessare il movimento e l'equilibrio. È un bisogno profondo e viscerale dell'uomo di poter essere ed essere riconosciuto per ciò che lui è. È solamente nella visione e nel fedele specchio che puoi offrire. Cosa mi manca, cosa sto cercando? Quando l'avrò trovato lo riconoscerò perché sono certo che mi è appartenuto, è una parte di me che mi è stata tolta senza che io lo volessi...mi è stata rubata. Tutto è avvenuto per una mia mancanza di attenzione, di presenza, ma sono sicuro che ciò che mi manca già era mio, mi apparteneva e non può essere di nessun altro. Per questo motivo nessuno ha cercato di portarmelo via, sono stato io incapace di trattenere, di riconoscere..... Ciò che mi manca si trova in basso, devo piegare il capo per poterlo cercare; se io non abbasso gli occhi potrei non accorgermi, passare oltre e se io scavalcassi e non mi accorgessi, potrei non più trovarlo. È freddo ciò che cerco, è scuro ciò che cerco, ma è mio, so che nessuno può appropriarsene, so che nessuno potrebbe caricarlo, porlo in sé; rimarrebbe un corpo estraneo,rimarrebbe mio e tutti quanti si accorgerebbero che è mio. Allora rimane abbandonato, dimenticato, inutile. Mi fa male il collo a piegare la testa, gli occhi mi bruciano a fissare il buio.