venerdi sera gruppo di ricerca medianica e spiritismo

Quelli che sono morti non se ne sono mai andati sono nell’ombra che si rischiara e nell’ombra che si ispessisce I morti non sono sotto la terra sono nell’albero che stormisce, sono nel bosco che geme, sono nella dimora, sono nella folla Ascolta più spesso la voce del fuoco, odi la voce dell’acqua ascolta nel vento del cespuglio i singhiozzi è il soffio degli antenati I morti non sono sotto la terra, sono nel seno della donna. sono nel bimbo che vagisce sono nel fuoco che si spegne

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01 febbraio 2011

ventunogennaio 2011

Restiamo ancora sul concetto, sulla informazione, sul dato che determina il senso di colpa e la mia affermazione che pare quasi che esista un bisogno per l’uomo che nasce, che si determina quale individuo…bisogno di riconoscere su di sé, più che in sé, l’azione di questo senso di colpa, il fardello, il peso.
Capisco anche che sia difficile da riconoscere quale paternità propria e individuale, bagaglio preciso, intimo dell’uomo, il senso di colpa.
Cercare di allontanare, cercare di impedire la provenienza, la condizione che ha creato la nascita di questo senso di colpa quale fosse un incidente di percorso, una costrizione, una cattiveria da parte di qualcun altro…no..affermo con forza che il senso di colpa appartiene proprio al momento in cui l’uomo affaccia il proprio vedere, il proprio sentire, il proprio cogliere a quella che è la vita fisica.
Credo che questo senso di colpa sia determinato anche da una condizione ben precisa che coglie l’uomo che si accorge scisso da quello che era il tutto dell’essere primordiale, dell’essere originale.
È una solitudine che spaventa, creare il limite in quella che è la percezione e la potenzialità, creare il limite e incapacità di utilizzare quegli strumenti senza i quali precludi la possibilità di comunicare e interagire con chi attorno all’essere si trova, siano essi i genitori…perché ben difficilmente viene a creare il contatto fra simili che si affacciano a quella che è la vita.
L’essere che nasce viene considerato incapace, viene considerato ignorante nell’uso di quello che è il vivere, ha bisogno di essere accompagnato, tutelato, istruito ed educato affinché possa essere parte integrante di quella che è la vita, la relazione, la società.
È un’affermazione che , per noi che siamo in grado di vedere un poco anche aldilà di quella che è l’apparenza…un’affermazione che urta, è una affermazione che nega la qualità dell’essere unico, originale.
Il bimbo che nasce è la parvenza più vicina a quella che è l’essenza dell’origine, ma riconoscere questa qualità crea sconcerto, crea buio per colui che crede di essersi già determinato, per colui che crede di aver afferrato quelli che sono gli strumenti che competono all’uomo, colui che si arroga a maestro, colui che crede di poter forgiare ed educare quell’essere che tutto quanto comprende nella sua parvenza di unità.
Il senso di colpa crea forse quella forza che spinge l’uomo a muoversi, il senso di colpa crea quella parzialità, quella incompletezza che spingono l’uomo a cercare precisa determinazione, quasi fosse purificazione nella crescita, nell’evoluzione. Se l’essere che nasce fosse in grado di portare in sé memoria e coscienza di ciò che ancora ricorda , ben più facile, ben più capace e potente sarebbe la sua esperienza terrena…ma ciò è impossibile, ciò disturba, ciò crea conflitto, e ha da essere educato, istruito.
Il senso di colpa è fardello necessario per allontanare ciò che è l’essere che nasce da ciò che era prima della sua nascita; il senso di colpa è senso di incompletezza, il senso di colpa è insoddisfazione. L’affrancarsi da esso diviene obiettivo immediato, diviene sforzo, diviene disponibilità ad apprendere, diviene malleabilità all’istruzione, diviene cedere all’istruzione e all’educazione e bisogno di allontanare quell’essere solo, ben cosciente che la scelta che lo ha portato a questa solitudine è precisa volontà, è sbaglio,peccato, è distorsione.
Ma se ciò è avvenuto, è nato da un bisogno, da un errore, è un quesito che anche io mi pongo.

Cerchiamo di unire le nostre le nostre presenze ora, cerchiamo di rendere più capace la mia possibilità di dire; chetiamo i nostri pensieri, chetiamo le nostre presenze…sia lo stagno il nostro luogo, sia attraverso esso la possibilità di rendere esseri comuni………………………………….

Non credo di riconoscere in me tracce di errore, tracce di sbaglio, affermazione cosciente che io abbia sbagliato perché ho affermato il mio desiderio di vivere, di nascere, perché mai….?
Se anche tutto ciò ha determinato il fatto che il mio ricongiungermi sia agli antipodi della posizione in cui io ho voluto pormi…
A ritroso non posso percorrere; il ciclo, la vibrazione, il ritmo ha un’unica, precisa direzione. Invertirla sarebbe creare quell’urto che va a demolire, incrinare quella che è la struttura che sostiene e determina la presenza precisa e fisica, oltre che energetica e vibratoria, dell’universo…e se di ciò sono consapevole, sono anche certo e cosciente che il mio percorso non possa che proseguire assecondando quello che è stato il mio primo movimento, determinato da un porre azione fisica, nello spostamento nello spazio e nel tempo, di quella che è la mia presenza scissa precisamente, determinata e definita. Quale sbaglio, quale errore! Perché a ritroso, dopo che la scelta è avvenuta e l’azione ha avuto compito….
Sbaglio sarebbe non riconoscermi quale preciso e volente essere che ha espresso arbitrio.
Io ero colui che in questo momento sono, preciso e determinato, definito in ogni singolo e minimo particolare, attraverso le misure e le dimensioni dell’essere concreto, quasi a certificare precisa presenza nelle dimensioni puntuali dell’uomo.
Io sono ciò che allora ero…io sono.
Rendere sempre più grezza la mia presenza, affinché possa creare vortice di direzione, per il ritorno alla purezza….ma quale sbaglio, quale colpa, quale errore!
Da chi debbo giudizio, se non da me stesso?

C’è chi afferma che il peccato più grande sia allontanarsi da Dio, da una condizione originale, dall’essere unico…c’è chi afferma che distorcere quella che è la completezza di Dio sia creare il male…c’è chi afferma che colui che persegue questo allontanarsi da Dio alimenti il male…c’è chi afferma che l’uomo lontano da Dio…..
….non so se riuscirò mai a capire ciò che è male, non so se riuscirò mai a definire ciò che è male, ma sono certo che è dentro di me che devo cercare, vedere, scrutare…..ma a chi debbo spiegare?
Perché definire ciò che è male?
In fondo essere solo mi garantisce l’essere libero, non costretto, non spinto, non tirato, immune….
È lontano da ciò che è che io possa trovare il mio essere……..solo lontano da ciò che è riconosciuto posso affermare ciò che io sono.