venerdi sera gruppo di ricerca medianica e spiritismo

Quelli che sono morti non se ne sono mai andati sono nell’ombra che si rischiara e nell’ombra che si ispessisce I morti non sono sotto la terra sono nell’albero che stormisce, sono nel bosco che geme, sono nella dimora, sono nella folla Ascolta più spesso la voce del fuoco, odi la voce dell’acqua ascolta nel vento del cespuglio i singhiozzi è il soffio degli antenati I morti non sono sotto la terra, sono nel seno della donna. sono nel bimbo che vagisce sono nel fuoco che si spegne

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30 novembre 2010

ventiseinovembre 10

Il bene e il male. Sono definizioni, sono indispensabili cardini conseguenti al dualismo.
Già ho cercato di spiegarvi che la ricerca, la definizione sempre più precisa di ciò che è bene e ciò che è male era sicuramente un’esigenza della mente affinché potesse trovare e definire sempre meglio quello che è il proprio ruolo e la propria presenza indispensabile nella vita dell’uomo.
Prima che l’uomo nascesse, prima che l’uomo si incarnasse, il dualismo non esisteva…esisteva un’unica essenza integra, originale. Nel momento in cui si sono creati i limiti, gli indispensabili limiti che definivano quella che è la struttura e l’essenza dell’uomo nella sua veste fisica, la mente ha avuto bisogno di creare i due parametri che definissero sempre meglio e sempre più precisamente ciò che è la dualità: il bianco e il nero, il giusto e lo sbagliato, il bene e il male. Erano e sono ancora, credo, per voi parametri precisi che permettono proprio alla mente di non perdere lucidità, possibilità, capacità che la mente non perde quell’indispensabile presenza che ha creato così precisamente e in modo così meticoloso, al fine di garantire la propria concreta, indispensabile presenza quale componente di quell’uomo che pensa, cammina, vive.
Ma è una condizione che non esisteva, non è una condizione originale, primaria…e sarà una condizione che non esisterà più nel momento in cui l’uomo andrà a ricreare quell’unione di componenti che formano l’essere unico, originale. È indispensabile comprendere che questo a volte disperato bisogno di dualità è semplicemente una parentesi, un periodo…un sicuramente limitato periodo.
Il bene e il male non esistono come entità reali, non esistono così precise definizioni che delimitino questi due termini. L’essere integro, già ve lo dissi, è tutto e il contrario di tutto; perché l’uomo possa riconoscersi essere integro non può che far proprie tutte le possibili sfumature dell’essere.
Ben difficilmente la mente avrebbe potuto esprimere la sua presenza nella vita dell’uomo se questa dualità non fosse definita, accettata e riconosciuta come reale.
L’uomo che non conosce il bene e il male è il pazzo, l’uomo che non riconosce il giusto e lo sbagliato è il folle…e il pazzo e il folle non sono uomini ma sono esseri che si pongono al di fuori di quella che è la definizione dell’uomo….la reale consistenza, quella riconosciuta, accettata come normale. L’essere irrazionale, l’essere incapace, viene definito.
L’uomo deve per forza aspirare a comprendere ciò che è il bene e il male al fine di scindere queste tre componenti, al fine di renderle vive e partecipi nella vita quotidiana…ma arrivare ad accettare consapevolmente che prima della propria nascita non esisteva questa divisione, e al termine della propria vita, dopo che il passaggio consapevole è avvenuto, non può esserci spazio per due differenti e antagoniste misure che definiscano l’uomo.
Io non affermo, io non chiedo, io non auspico che voi possiate esprimere il male per poterlo riconoscere come vostro. La mia intenzione, il mio stimolo, era quello affinché voi poteste caricare e riconoscere quello che è il male riconosciuto attorno a voi, cercandone i legami che vanno ad insinuarsi in quella che è la vostra essenza spirituale. Non è blasfemo dire che l’essere originale comprendeva anche ciò che è riconosciuto quale male, errore, sbaglio, peccato.
Rimarrà e verrà etichettato con tutti questi che io ho affermato finche non sarà riconosciuto come originale misura di ciò che l’essere integro è.
L’espressione, l’atteggiamento, l’essere uomo diviene male nel momento in cui non lo si riconosce come proprio e si desidera evitarlo, si desidera allontanarlo con quella rigidità che pone sacro furore, reazione integerrima…stupidità grande. È lo sforzo di celare, di mantenere intimo e riservato il pensiero maligno che crea la sua essenza maligna, è lo spreco di energia, l’incapacità di sincronizzare quello che è il movimento originale, che crea distorsione, stonatura, increspatura di quella che è la corrente originale, l’armonia delle vibrazioni, il suono puro. Lo sforzo che la mente, il corpo, pongono in atto quasi a scudo profetico, sono il vero male, la vera cattiveria, lo spreco ingiusto di energia così grande.

Desidero apparire come l’istigatore, colui che trascina o spinge nel perseguire ciò che viene riconosciuto quale male, ma vorrei tanto che voi lo afferraste e in esso specchiaste la vostra presenza, anche la vostra individualità, la vostra identità… Ciò che era prima che voi nasceste e ciò che sarà dopo il passaggio della vostra morte non prevede, non include definizioni così precise di bene e di male.
Il bisogno della dualità è un bisogno effimero, è un bisogno funzionale a creare quel peso che voi dovrete abbandonare per poter tornare là dove siete aspettati. Non sprecate energia nella comprensione e nella lotta nei confronti del male: credetemi, è tempo sprecato.
Un invito, però, vorrei porre a voi che in questo cerchio siete: cercate di comprendere quando un avvenimento, un incontro, assume i colori del male, i suoni del male. Cercate di essere lì in quel momento, cercate di essere attori e padroni di quel momento, non scansatelo, non allontanatelo altrimenti si arriverà ad affermazioni così opposte a volte…quasi si cercasse di creare cortina che copre e vela quella che è la realtà; affermazioni riguardo alla sofferenza, al valore della sofferenza, alla qualità della sofferenza, per poi passare dopo un attimo alla condanna di essa e al timore di essa e al bisogno di lotta nei confronti di essa.
La sofferenza ha identità precisa nel momento in cui vi appartiene, nel momento in cui non siete più in grado di incolpare qualcun altro o qualcos’altro di quella sofferenza, quando non avrete più alibi se non riconoscere podestà precisa e puntuale di quello che è il soffrire. È il passaggio attraverso il quale indubbiamente il vostro il vostro divenire dovrà percorrere. In esso sarà possibile trovare impotenza ma anche riconoscenza, partecipazione, affermazione.
Il timore più grande ha da essere l’ingerenza di altri nelle vostre scelte…l’alibi, la giustificazione per allontanare da sé, non riconoscere come proprio…
Non amo chi cerca la sofferenza, non amo chi la provoca a sé stesso o agli altri, ma amo profondamente chi riconosce come propria quell’incapacità di più fare nulla se non esprimere la parte leggera e preziosa che porta alla comprensione; cercare sempre motivo per la causa e per la soluzione è sprecare energia…cercare sempre motivo e colpa per dare senso è sprecare tempo.
Lo stesso dolore scema nel momento in cui ci riconosce parte propria con la sofferenza che tanto poco conoscete e conosciamo, perché anch’io…………………………………………………….

Cerchiamo il nostro corpo comune ora, cerchiamo di fondere quelle che sono le nostre presenze in quella parvenza che tende a somigliare a ciò che è l’essere unico, cerchiamo di trovare traccia, intuizioni, riconoscimenti.
Poniamoci attorno allo stagno, cerchiamo quell’onda che ci rende cosa unica, apriamoci al suo arrivo, poniamoci liberi al suo tocco……………………………………………………………….