venerdi sera gruppo di ricerca medianica e spiritismo

Quelli che sono morti non se ne sono mai andati sono nell’ombra che si rischiara e nell’ombra che si ispessisce I morti non sono sotto la terra sono nell’albero che stormisce, sono nel bosco che geme, sono nella dimora, sono nella folla Ascolta più spesso la voce del fuoco, odi la voce dell’acqua ascolta nel vento del cespuglio i singhiozzi è il soffio degli antenati I morti non sono sotto la terra, sono nel seno della donna. sono nel bimbo che vagisce sono nel fuoco che si spegne

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16 luglio 2010

noveliglio 2010

Nel mio ultimo messaggio iniziai dicendo che comprendevo la difficoltà, non solo la capivo ma la comprendevo perché la vivevo con voi.
In me è forte la volontà di voler nascere quando dico che non desidero più di nascere ma voglio nascere, perché la mia scelta è avvenuta e questa mia scelta che preme mi rende un poco goffo, quasi fossi un bimbo che cerca di porre i primi passi in atto, cerca di ergersi autonomamente quando ancora bisogno ha di coloro che lo accudiscono, coloro che sono i vettori, nel nostro caso voi…e io sarò nato nel momento in cui sarò in grado di comunicare alla vostra mente e al vostro corpo, le vostre componenti fisiche, perché per quanto riguarda la componente spirituale già con essa io sono in contatto, perché cosa unica noi siamo all’essenza di quella matrice, che così come è in me è anche in voi,e ah un unico suono, un’unica vibrazione, parlano lo stesso linguaggio perché nel momento in cui una di queste frazioni, spezzoni di matrice parla utilizza il linguaggio e l’argomento che anche le altre condividono.
Ma torniamo al mio nascere…mi rendo conto di essere goffo e la voglia di essere simile, di essere fratello, mi porta a tentare di correre più che a camminare. Io ho bisogno di comunicare con voi, di comunicare alla vostra mente innanzitutto, perché io possa nascere, ho detto, e per qualcuno di voi può essere un poco più difficile comprendere il mio modo di parlare. Sono ancora versi, non sono ancora parole probabilmente, sono ancora un linguaggio che, spinto dalla voglia di comunicare, crea suoni che non hanno completamente senso…ma tempo abbiamo per poterlo far, voglia da parte mia ma,ripeto,è indispensabile che io porti con me voi quali vettori che sorreggono questo mio procedere in quello che sarà l’avvicinarsi all’incontro quali simili, quali fratelli.
Molti temi, molti argomenti ho cercato di porre a comprensione del nostro ultimo incontro, ma vorrei risalire a ciò che era l’inizio del mio dire: per me era importante arrivare a chiarificare quello che era il senso di colpa che crea il giudizio, anzi, il giudizio che crea il senso di colpa, ma il giudizioe il bisogno di esso non è altro che seme di quello che è il subire senso di colpa.
Ma di fatto per l’essere, per il bimbo, per l’entità che nasce, il senso di colpa viene forgiato attraverso il giudizio di che a lui attorno si trova, di coloro che sono i genitori, i vettori, gli insegnanti.
Così come io nel mio desiderio di nascere ho spinto molto in là questo mio procedere su gambe traballanti, così anche il bimbo quando nasce e si pone nel mondo degli esseri vivi, che camminano e pensano, cerca di dare ciò che sente come naturale nel suo esprimere… non esiste modo giusto o modo sbagliato, esiste solamente un modo per esternare la presenza in quel mondo da parte di un’entità, di un essere che si affaccia ad esso. È chiare, è lampante che quando qualcuno di completamente nuovo nasce all’interno di qualcosa già strutturato, di un mondo strutturato con delle regole, con delle convenzioni, per forza di cose, la cosa normale, giusta e buona è che esso si adatti, che si instradi su quello che è il percorso definito quale giusto. Per un bimbo è difficile cogliere questo percorso, è una strada precisa, con dei paletti, è una strada delimitata precisamente, a fianco dello spazio sul quale poter camminare, è chiaramente visibile quello che è il limite oltre il quale ci si trova in una direzione che non è quella corretta. Il compito di colui che vuole e si pone quale genitore ed educatore di questo nuovo essere è quello di delimitare sempre meglio e sempre più precisamente quello che è il percorso giusto che porta al cammino preciso e che tutti quanti si aspettano che questa entità che si pone e si affaccia in questo mondo vivo, reale, concreto, fisico, debba percorrere. Ma colui che, libero, cerca di porre i primi passi, è incapace.
L’educazione. L’educazione presuppone la visione, presuppone la definizione di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato. L’alibi è quello di credere che il giusto sia per colui che agisce e deve imparare qual è il modo giusto di poter crescere. Pertanto l’educazione è indicare qual è l’azione corretta, qual è l’azione sbagliata, qual è il limite oltre il quale non si può andare…a garanzia dell’incolumità e della sanità del bimbo che si pone, si affaccia a quello che è il vivere che lui ancora non conosce, che deve apprendere, che deve attraverso l’educazione fare proprio.
Pertanto le sue azioni vengono giudicate, vengono soppesate, vengono definite; ci sono quelle giuste e ci sono quelle sbagliate.
È molto triste per il bimbo che subisce questo controllo, questo giudizio; è qui che nasce il senso di colpa, quando il desiderio, la volontà di fare qualcosa che non è riconosciuto come corretto, debba in qualche modo essere bloccato, castrato, vietato, allontanato, mediato. Non più il bimbo esprime attraverso le azioni il proprio desiderio e la propria volontà ma deve mediare attraverso quello che è il giudizio e la regola stabilita da chi si pone accanto a lui per poterlo educare.
È una follia pensare che il bimbo debba essere educato. Il bimbo ha in sé la direzione che deve percorrere, ma colui che ancora più non la riconosce, non la sente propria, colui che grande è divenuto, tanto grande nel pensiero e nella mente e tanto piccolo nello spessore reale, desidera imporre ciò che ha ritenuto corretto. In questo modo il bimbo subisce, in questo modo il bimbo è costretto a ricacciare ciò che è il desiderio di cammino, ciò che è la direzione che vorrebbe.
Non è per forza di cose comprensibile il desiderio di percorrere una direzione per un bimbo da parte di un adulto, da parte di colui che non è più in grado neppure di intravedere desiderio riconoscibile alla matrice, all’essenza primaria, al movimento originale, pertanto l’educatore si pone quale censore, si pone quale maestro, si pone come colui che ha già compreso e desidera travasare in colui che da lui dipende la saggezza e la visione raggiunta.
Il bimbo inizia così a nascondere, inizia a riservare per sé quelle che sono le sue visioni, quelle che sono le intuizioni che riconosce come proprie, che sgorgano quale naturale messaggio dal proprio essere bimbo, dal proprio essere più vicino a quella che era la matrice…
Tiene per sé e media perché capisce che è l’unico modo per poter vivere.
Tutto ciò io credo sia triste, tutto ciò io credo sia come rinchiudere all’interno di una gabbia una luce e, come primo intendimento, di velarne la purezza e la qualità e quando ci si accorge che neppure le sbarre la velano, allora si pone anche un panno affinché esso filtri ancora meglio e ancora di più questa luce che dalla matrice sgorga.
Con il senso di colpa la paura di sbagliare, con il senso di colpa il timore del giudizio negativo da parte di colui che dedica così tanta attenzione e tanto tempo per te, bimbo, che devi crescere.
Pian piano naturalmente la luce si attenua, viene velata e ottiene attraverso molte volte la menzogna e la mediazione tonalità che aggradano l’occhio di colui che più grande di te si pone, quale genitore e poi maestro. Pian piano si creano quelle procedure, pian piano si creano quelle reazioni istintive che tendono sempre di più a creare quieto vivere allontanando dal proprio essere quello che è il senso di colpa.
Il senso di colpa non è istillato da qualcuno al di fuori dell’essere che cammina, il senso di colpa è l’essere stesso che se lo crea. Non cercate l’alibi delle chiese, non cercate l’alibi dei regimi; è comunque sempre l’individuo che alimenta e riconosce come cosa buona il giudizio ed il senso di colpa… il timore di sbagliare, il timore di essere riconosciuto come colui che sbaglia infrangendo quella che è la regola, la legge, la morale.
Quando l’individuo però comunque perde il controllo, quando la mente dell’individuo però comunque perde il controllo, naturalmente esprimono motivi, intuizioni che portano l’uomo ad infrangere quelle che sono queste norme…e quando la cosa diviene palese si tenta di allontanare da sé questo errore, questo sbaglio, anche se intimamente si riconosce la podestà di esso.
Il senso di colpa è un limite molto grande, è un collare molto pesante che l’uomo forgia e atteggia attorno al proprio collo per essere riconosciuto tale e quale a coloro che attorno a lui si trovano, inserito e riconosciuto in quella società alla quale desidera sempre di più appartenere.
Quando, nel prosieguo del suo cammino si affranca da quello che è il giudizio di coloro che sono i vettori, i maestri, i genitori, i figli, le mogli, i coniugi…l’uomo si pone solo di fronte alla possibilità di scegliere ciò che deve fare, quali sono le proprie scelte, quando finalmente è in grado di cogliere la possibilità di esprimere libera scelta, a quel punto il timore – come già vi dissi venerdì scorso – non è più quello di infrangere una di quelle regole, una di quelle norme o leggi che strutturano la società nel quale vive, dalla quale si è affrancato attraverso il suo divenire, attraverso il suo esprimere vita nel prosieguo del suo cammino…
L’errore grande diviene la non comprensione, l’incapacità di comprendere, ma questo proprio perché la luce, la matrice, è stata velata da questa serie di coperture che tendono ad oscurare la possibilità di quella luce quando libero ancora di poterle togliere, ancora come lo era stato prima, quando bimbo si poneva quale matrice…torna la possibilità e l’occasione, il proprio senso di colpa va a creare errore, sbaglio della non comprensione, si sente incapace, si sente limitato e, come prima faceva cercando di scaricare la responsabilità dell’errore che faceva, oggi lo fa nuovamente scaricando l’incapacità di comprendere.
All’uomo vengono sempre di più posti interrogativi che lo toccano più fedelmente e più intimamente quando la propria vita raggiunge quella maturità che lo rende libero da quei vincoli che sono il giudizio, dalle responsabilità che l’uomo ha dovuto accollarsi per essere probo componente di quella società alla quale tanto ha desiderato poter essere facente parte.
Il divenire alla maturità della sua vita lo affrancano, gli danno la possibilità ancora e nuovamente di vivere e di poter scegliere…ma a quel punto è incapace di “vedere” proprio perché la sua possibilità di vedere è stata velata da questa serie di mediazioni che il senso di colpa gli ha fatto costruire, elaborare con meticolosa precisione perché – ripeto – la mente, lo strumento che principe fino allora ha regolato la vita dell’uomo, ha una capacità grande di protezione per sé stessa.
Quando io vi dissi che il maggior sforzo, la maggiore intenzione della mente è quella di salvaguardare la propria primaria presenza nel governo dell’uomo, è vero, ed è abile in ciò, è strumento preciso ed affilato perché una vita intera l’uomo ha donato propria energia a questo affinare capacità. La mente si trova in difficoltà a rispondere a quelle domande che l’uomo si sente rivolgere. Allora allontana da sé, allora cerca veramente l’alieno, cerca colui che è talmente distante da sé per non trovare appiglio che lo colleghi ad esso. Non è all’uomo, all’individuo, che queste domande vengono poste, ma alla propria incapacità di poter rispondere e la colpa di questa incapacità non è sua, è di colui che l’ha creato, dell’alieno che utilizza un linguaggio che è talmente estraneo e straniero che nulla l’individuo, l’essere, può fare nei confronti di esso.
Giungono gli Dei, giungono gli spiriti, giungono coloro che talmente più alti, più grandi e più alieni dell’uomo sono, che l’uomo mai potrà cercare di cogliere quella che è la possibilità.
È a questo punto che avviene la conversione, è a questo punto che l’individuo inizia a trovare la fonte di queste domande, che non è certo Dio, la natura o l’Essere Supremo che le formano, ma non è nient’altro che la componente primaria legata alla matrice, che forza dentro di sé possibilità di espressione.
La mente, come il corpo, giungono ad uno stadio in cui misurano la propria limitatezza, il proprio logorio, il proprio decadimento e timorosi invocano aiuto e benevolezza da Esseri Supremi, allontanando sempre di più quella che è la possibilità di comprendere….
Non so se il mio essere in questo modo è legato da un’impossibilità ancore di poter vedere…
Se l’uomo deve trovare riscatto passando attraverso la morte…non è mai nato. Se un uomo trova unica possibilità di comprensione attraverso la mediazione di Dio, deve ancora nascere. L’uomo, attraverso l’affermazione della propria nascita, attraverso la riappropiazione di quella scelta libera,potrà trovare esito alle domande che si pone.
È fondamentale arrivare a comprendere e fare propria l’affermazione che l’uomo diviene tale nel momento in cui afferma la prima scelta di libero arbitrio.
Quando l’uomo nasce è già essere definito, non è la matrice che esprime una scelta di libero arbitrio attraverso l’incarnazione di quell’individuo, ma è l’individuo stesso che è già tale e attraverso questo essere individuo ben preciso ed individuale esprime volontà di incarnarsi… perché cedere podestà….. perché……perché……