venerdi sera gruppo di ricerca medianica e spiritismo

Quelli che sono morti non se ne sono mai andati sono nell’ombra che si rischiara e nell’ombra che si ispessisce I morti non sono sotto la terra sono nell’albero che stormisce, sono nel bosco che geme, sono nella dimora, sono nella folla Ascolta più spesso la voce del fuoco, odi la voce dell’acqua ascolta nel vento del cespuglio i singhiozzi è il soffio degli antenati I morti non sono sotto la terra, sono nel seno della donna. sono nel bimbo che vagisce sono nel fuoco che si spegne

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17 aprile 2010

dueaprile 10

Non posso che di nuovo dire che è piacevole e trasparente leggere ciò che sgorga e zampilla da quello che è il nostro trovarci.
Il risultato è, a creare valore, il fatto che la prima parte del vostro essere cerchio ha una funzione utile, proficua per quello che è la ricerca. Questo scambiarvi…questo scambiarci, perché in fondo utilizzando quello che è stato il mio intervento il venerdì precedente, vuol dire in qualche modo coinvolgere anche me in questo scambio di pensieri, di opinioni.
Questo – appunto – condividere, non è altro che rendere consapevolezza ciò che è già coscienza.
È benvenuto l’affermare che la coscienza ha sempre di più i tratti della consapevolezza. Aver colto dentro di voi questo patrimonio, questo tesoro che possiamo bene chiamare coscienza, è renderlo consapevole perché questa coscienza diviene consapevole nel momento in cui alimenta quello che è il vostro vivere quotidiano. Solamente nel momento in cui la coscienza affermata diviene consapevolezza ha la possibilità e la capacità di aiutarvi a vivere nel modo sempre migliore, più completo, più integro.
Il nostro confrontarci prima che iniziamo quello che è il corpo comune non è altro che affermare questi grani di consapevolezza e colgo anche a volte con piacere la difficoltà vostra che avete a rendere parole quello che avete compreso consapevolmente. Non bastano più le parole per spiegare ciò che è il valore riconosciuto e ciò è buono…ciò è buono perché fa scaturire da situazioni più profonde, più intime, quello che è il concetto e il valore riconosciuto adesso.
Ancora capisco sia indispensabile rendere concetto il valore, l’intuizione, perché lo scambio ancora – com’è giusto che sia – avviene attraverso espressioni mentali, concettuali; lo scambio avviene attraverso una dimostrazione, un mostrarsi per ciò che noi siamo, nella completezza degli strumenti fisici dell’uomo. Esprimiamo, sì, concetti mentali, sì schemi, sì illuminazioni, ma anche sensazioni di benessere legate alla fisicità, al sentirsi bene, al calore della condivisione che un cerchio può far affiorare.
Pian piano capirete, pian piano sperimenterete il fatto che le parole perderanno possibilità quale strumento di condivisione di ciò che è la consapevolezza. Lo scambio sarà a livelli più profondi, più completi, più intimi…sarà benvenuto il momento, ma spero sia ancora lontano perché lo scandagliare e lo scuotere quello che è l’albero della coscienza per far sì che divenga consapevolezza è ancora strumento ed esercizio utile, per quello che è il nostro cerchio.
Ben venga la limpidezza della percezione, ben venga la trasparenza del vostro essere in questo cerchio. Quasi inconsciamente liberate quelle che sono le costrizioni e le protezioni che normalmente l’uomo, nel momento del confronto con l’altro uomo, pone in atto. Non ce n’è più bisogno, non hanno più senso, sono sciocchi artifizi che a nulla altro servono che ad appesantire e allontanare, sicuramente ad escludere chi ancora ha il bisogno di esprimere in questo cerchio questa protezione individuale, questa velatura, mascheratura…naturalmente si sentirà escluso da quello che è il cerchio e il lavoro che il cerchio, la ricerca che il cerchio persegue, e non abbiate timore di ciò…è un’utile scrematura , anche se il termine può apparire netto, deciso, cattivo.
Ma vorrei darvi ancora stimoli, vorrei anch’io, ora che posso, partecipare a quello che è stato il confronto di autodeterminazione. Anch’io mi autodetermino all’interno di questo cerchio e nella prima parte del lavoro che il cerchio desidera e ha bisogno.
Vorrei parlare questa sera di miracoli, perché nel vostro pensiero è sorto questo bisogno.
Partiamo subito dall’affermazione di ciò che la fede può fare; è la fede che può generare, che può permettere lo scaturire del miracolo, senza di essa non ci può essere miracolo.
La fede può far smuovere le montagne…e non lo dice solamente il Cristo, lo dicono anche altri Illuminati, lo dice Maometto, ma ben altri lo dicono…la fede può smuovere le montagne.
Io non credo che vedrete mai le montagne che si possono muovere, anche se la vostra fede fosse netta e pura quale Luce Originale, questo per ciò che riguarda la vostra esperienza fisica, quello che è lo strumento, quella che è la nicchia protetta da un’architettura precisa che garantisce all’essere uomo di non impazzire.
Se all’interno di questa possibilità del vivere dell’uomo, del vivere fisico avvenissero miracoli di questo tipo, la povera mente dell’individuo impazzirebbe, non sarebbe in grado di cogliere senso….
Però io credo e affermo con lucida certezza che la fede può smuovere le montagne.
Visione sgombra per me, tante volte vi ho detto, visione sgombra perché sono in grado di cogliere quella che è l’esperienza di molti individui, quali voi siete. Io, essendo in un percorso parallelo e in qualche modo intrecciato al vostro, ho modo di vedere in visione sgombra ciò che è il divenire di molti individui, di molte entità, di molti uomini. Affermo ancora: la fede può smuovere le montagne.
Molti uomini hanno trovato di fronte a sé montagne erte sulle quali si sono buttati con cieca determinazione, con preparazione fisica e mentale che consentisse loro di avere lo strumento per salire su quella montagna e quando credevano di averne raggiunto la fine, quando la cima era a loro portata di mano, di mano fisica, da uomo vero, al di sopra di questa cima si ergeva un’altra montagna e il ripetersi di questa difficoltà li ha costretti a cadere, a tornare al punto di partenza.
Non sono stati in grado di superare questa montagna, era troppo grande per loro, era grande per i limiti che l’uomo ha. Se l’uomo solamente attraverso gli strumenti limitati del suo essere fisico affronterà quella montagna, così sarà. L’uomo, attraverso la sua fede, può smuovere quella montagna; impedendogli di salirla, ma poter arrivare aldilà di quella montagna, e l’unico modo è la consapevolezza, la consapevolezza di poterlo fare…la consapevolezza di poterlo fare senza bisogno di affinare strumenti che sono per forza di cose limitati.
La dimensione dell’uomo è illimitata, la dimensione dell’uomo nella sua completezza è smisurata…
La montagna può essere spostata solamente se affrontata con la consapevolezza dell’essere. Può avvenire in modi diversi, può avvenire attraverso l’aggiramento, può avvenire attraverso il superamento o attraverso un balzo, ma sarà solamente una consapevolezza che permetterà a quell’individuo di superare la montagna, la sua fede la sposterà, farà in modo che non sia più un impedimento al suo progredire.
È chiaro che la montagna non è sicuramente fatta di roccia oppure di terra: la montagna è la difficoltà al passare oltre. Il divenire diviene insuperabile come un’erta montagna, se affidato solamente al limite delle dimensioni dell’uomo; la fede permette a che queste dimensioni limitate vengano superate…la montagna verrà tolta di mezzo e l’uomo potrà passare oltre. Sarà la sua fede che creerà il miracolo.
La difficoltà di spiegare ciò che è l’intuizione e ciò che è il senso della Corrente Originale all’uomo è proprio questa: cercare la traduzione affinché la mente e il fisico dell’uomo possano comprendere il senso di ciò che è il divenire originale.
Si utilizzano immagini, strumenti, si utilizza l’Arazzo, che in fondo è quello strumento che l’occhio dell’uomo può cogliere, che la sensazione dell’uomo può comprendere, può dare ad esso armonia, grazia, bontà…
Sono sempre traduzioni, sono sempre parabole affinché la mente dell’uomo, il fisico dell’uomo, possano avvicinarsi alla comprensione, sono parabole che permettono alla mente e al corpo dell’uomo di condividere unione, raccogliere le forze, cercare unità, completezza di fronte alla comprensione. Io credo nei miracoli, io credo nel superamento cosciente dell’individualità. È una
Affermazione che dà teoria, dà suono, dà immagine…
La mente dell’uomo ha bisogno di concetti, la mente dell’uomo ha bisogno di verifiche, la mente dell’uomo ha bisogno di comprendere che la verità è vera. L’uomo seziona, l’uomo divide, riduce ai minimi termini e quei minimi termini cerca di ridurli a termini ancora più piccoli…. infinitesimali.
È la sete, il bisogno della mente dell’uomo di fare questo. Ma non esiste la verità, abbiamo detto tante volte; esiste un’unica cosa:ciò che è, ciò che diviene,ciò che è chiamata la Corrente Originale.
L’uomo non può far altro che cercare di cogliere sprazzi di essa, abbiamo detto; lo può cogliere in modo inconscio, non volente, inconsapevole, ma può anche perseguirlo quale ricerca, così come questo cerchio si propone, in fondo.
Quando il concetto perde possibilità di parole quali strumento per essere spiegato, siamo sulla strada giusta, vuol dire che il limite della parola o del mentale diviene troppo angusto per comprendere ciò che è vero.
Se l’uomo, così come sta avvenendo in questo cerchio, giungesse a questo stadio di comprensione perderebbe anche l’interesse e il bisogno di sezionare ai minimi termini ciò che è la verità, per riconoscerla quale tale. La verifica, la certificazione, la bontà, la “storicità della figura”, la testimonianza vera, esistita, non servirà più, non avrà più senso.
Sono affascinato da quella che è la filosofia Zen, dalle risposte che il maestro non dà all’allievo che chiede. L’allievo, nei suoi primi stadi di essere allievo, nella sua acerba maturazione, molte domande pone al maestro e se i primi tempi le risposte hanno qualche senso, man mano che la maturazione dell’allievo prosegue, le risposte hanno sempre meno senso, fino a giungere ad essere dei suoni o dei rumori a domande ben precise, con degli interrogativi che hanno senso….
Qual è la risposta vera? È quella che soddisfa la domanda? Non credo. Qualsiasi risposta è vera, perché se nella Corrente Originale esiste il tutto ed il contrario di tutto, qualsiasi affermazione, suono, colore, rumore, vibrazione è risposta alla domanda….perché, in fondo, la domanda che l’uomo si pone è la soddisfazione della sua completezza. Tutto ciò che gli manca gli fa porre domande e quesiti; ma all’uomo, nella sua parzialità,tutto quanto manca…e qualsiasi cosa concorre alla sua completezza.
Temo di essermi allontanato, andato molto fuori da quella che è la possibilità di comprensione, ma questo mio essere simile a voi, questo cercare di risuonare al vostro suono mi porta, mi trascina a volte, ed è piacevole, credetemi.
Avrei molto da dire, ma vorrei chiudere con un’ultima cosa già emersa all’interno di questo cerchio e parlando di nuovo del messaggio del Cristo è emersa: i miracoli dei quali il Cristo aveva bisogno per poter scuotere la gente, attirare l’attenzione della gente, per chiamare la gente a sé.
I miracoli, che sono stati in fondo la chiave di volta di questo richiamo del Cristo all’uomo suo simile, vanno letti su livelli molto diversi. Io credo che anche voi abbiate condiviso un miracolo che il Cristo ha fatto, ed è stata la risurrezione del morto, la risurrezione di Lazzaro. Voi siete stati in grado di vivere questa risurrezione!
Se nella storicità del Cristo, se nel bisogno che i tempi e gli uomini del tempo del Cristo avevano di avere miracoli concreti, comprensibili per la mente di coloro che vivevano quel momento, ha portato a far sì che il Lazzaro fosse portato fuori da quello che era il sepolcro, reso ancora vivo con il suo bisogno di cibo e di acqua, per testimoniare la possibilità del miracolo della vita contro la morte, voi l’avete vissuto e sperimentato attraverso lo strumento spiritico.
Se allora il miracolo era la vittoria sulla morte, oggi per voi il miracolo è la comprensione, il riconoscimento dentro di voi della coscienza e infine la consapevolezza che esiste una vita oltre la morte. I miracoli esistono e la fede può smuovere le montagne; credo ciecamente in questa mia affermazione, sono certo e vorrei tanto essere in grado di dare a voi la comprensione che in voi esiste già questa certezza.
Ribadisco, io risuono al vostro suono, io non esiste quale definizione di entità, io sono un’entità, sono parte del Tutto Senza Limiti. Non ho la storicità o la verità scientifica della mia esistenza e non ne ho neppure bisogno…io ne ho visione sgombra di ciò che è.

Sia il corpo comune ora, cerchiamo in esso la possibilità, cerchiamo in esso il miracolo del quale, ancora ripeto, io sono certo.
Lo stagno, luogo nel quale ci sentiamo a casa, ci riconosciamo in esso, ci è facile là e in quel momento cedere, perché cedere è bene, perché cedere va nella direzione giusta.

ventiseimarzo 10

È molto facile, molto semplice, trasparente questa sera, leggere ciò che è la vostra presenza.
È facile cogliere perché emerge chiaramente il vostro bisogno di incidere, di cambiare, di essere davvero attivi, lievito in quella che è la vita di ogni giorno ed è anche piacevole e dolce intuire e leggere la fiducia che avete nel lavoro che assieme condividiamo; la fiducia che questo lavoro possa portare quelle qualità e quei valori che possano aiutare e potenziare quella che è la scelta del vivere.
Ma esiste, io credo, un problema di fondo che non è ancora stato sufficientemente chiarito e focalizzato. Il vostro desiderio attraverso il corpo comune, attraverso lo sporgersi aldilà della soglia per intuire, per cogliere quella che è l’essenza della Corrente Originale, ha come obiettivo di caricare quelli che sono gli strumenti che appartengono all’uomo; innanzitutto la mente, che possa con più chiarezza elaborare soluzioni, concetti e modi per far sì che il vostro testimoniare nella vita quotidiana sia sempre più capace, più abile, più incisivo.
E anche per ciò che riguarda lo strumento fisico, andare a cogliere energia che possa caricare e rigenerare in qualche modo quello che è il vostro essere, anche nella fisicità, nella presenza, nel contatto e nello scambio. Ma se lo sforzo si limita a cercare di potenziare quelli che sono gli strumenti precisi ma limitati che contraddistinguono quella che è la fisicità dell’uomo, rimarranno limitati, ripeto, da quel contenitore che non può esprimere più possibilità perché limitato da angusti e fisici limiti, costrizioni. La testimonianza nel vivere in ogni giorno per quella che è stata l’intuizione colta attraverso il corpo comune, attraverso il superamento della soglia, deve appartenere a quella terza dimensione che è facente parte dell’uomo fisico e incarnato…ma è quella più difficile da comprendere e rendere cosciente e consapevole nell’azione di ogni giorno, ma la possibilità che avete è quella di irrigare e di alimentare questa presenza, fare in modo che questa presenza sia sempre più precisa e riacquisti spazio e tempo in quello che è l’agire dell’uomo.
È meno comprensibile quale sia il modo per poter esprimere sempre di più e al meglio questa componente ma vi posso assicurare e affermo con piena convinzione che la visione sgombra al di là della soglia, l’intuizione, il cogliere la Corrente Originale, non può che andare ad arricchire questa terza componente.
Torniamo un attimo al passaggio, a quello che è il superamento della soglia. È vero, trovarvi di fronte alla soglia, trovare quella porta chiusa e trovarvi da soli davanti a questa porta vi costringe a lasciare al di qua della soglia quella che è la fisicità, quella che è la mente, e quello che è il corpo.
Se la vostra intenzione, il vostro intendimento è quello di portare anch’esso al di là della soglia, mai supererete quella porta, mai aprirete quella serratura.
Un esempio facile da porvi è quello che riguarda il sogno: il sogno ha la grande qualità e possibilità di far si che la mente e il corpo siano attraverso il sonno chetati. A questo punto è più facile, più semplice, poter evadere da quello che è il limite fisico dell’uomo. L’uscita dal corpo, così codificata e idealizzata attraverso alcune discipline, attraverso il sogno la esprimete con una tranquillità e facilità che banalizza lo sforzo che propongono queste discipline che vorrebbero trascinarvi, costringervi ad uscire da quello che è il corpo fisico. Attraverso il sogno voi uscite da un corpo chetato, da una mente sopita e la percezione, la presenza vostra attraverso l’uscita dal limite corporale vi porta ad attingere, a vedere ciò che esiste al di là della dimensione fisica, giungere al di là della soglia… ma qual è il limite di questo strumento?
È il rientro da parte della percezione non fisica in quello che è il corpo e la mente, che al risveglio vengono riattivati. Esiste una traduzione di ciò che si è percepito, affinché la mente e il corpo possano comprendere ciò che è avvenuto; è una traduzione che ha tempi velocissimi, rapidi, tanto è vero che se non siete in grado di esprimerla nel momento in cui viene posta la possibilità, essa sparisce e rimane latente, incosciente, al di fuori della percezione mentale ma con l’energia e lo stimolo che quella terza componente non fisica vi ha permesso di acquisire… coscienza…. Però il bisogno della mente di comprendere porta a quella traduzione che è molte volte falsa, se andate a cercare spiegazione e concetto mentale.
Cercare di approfondire, di sezionare, di tradurre quello che è il sogno, credo che abbia esito sterile, incapace. Lasciate che rimanga latente dentro di voi la percezione colta attraverso l’uscita dal limite fisico. Il nostro desiderio è però quello di portare questa uscita dal limite fisico attraverso una scelta volente, un superamento cosciente dell’individualità.
Attraverso il corpo comune voi portate la completezza del vostro essere alla soglia. Di fronte a quella porta il corpo non è sopito…il corpo è presente, vigile, la mente è attenta e per quella che è la sua possibilità vorrebbe anch’essa superare quella soglia per andare a cogliere ciò che esiste aldilà…ma nulla potrebbe soddisfare questo desiderio, nulla che esiste aldilà di quella soglia.
Il passaggio attraverso la soglia, il superamento di quella porta, è un’uscita dal limite fisico. Vuol dire lasciare al di qua ciò che sono gli strumenti, le potenzialità dell’uomo per andare a cogliere qualcosa di diverso di una comprensione.
L’intuizione non è la soluzione al problema, l’intuizione non è cogliere la possibilità per risolvere il dato problema; l’intuizione è riconoscenza, l’intuizione è affermazione di identità. Al rientro del corpo, se lo strumento utilizzato è quello del corpo comune, non esiste più il bisogno di tradurre ciò che si è colto perché proprio la completezza dell’essere di fronte a quella porta non necessita della comprensione mentale o fisica dell’esperienza colta aldilà.
Ho detto che aldilà potete ricreare identità, appartenenza, consapevolezza di essere ed è questa consapevolezza che porterete in quello che è il vivere di ogni giorno. Ripeto, non porterete soluzioni, non porterete visioni o strategie, non porterete percorsi, strumenti ma presenza, integrità, consapevolezza.
Esiste un esempio, io credo, che appartiene a ciò che voi siete ed è l’immagine di quella che è stata la teologia della liberazione; esistono uomini che attraverso la loro missione, la loro fede, hanno deciso di portare quelli che erano i valori all’interno di un problema preciso, attraverso la lotta ad una struttura, al Male – utilizziamo questo termine – ma partendo dal valore, dalla missione, dalla fede, si è cercato di tradurla in quelli che erano gli strumenti che potessero concretamente agire contro quel Male riconosciuto. Attraverso questo meccanismo, attraverso questo modo, non si è fatto altro che allontanare quello che era il valore riconosciuto che apparteneva alla missione, alla fede, cercando di potenziare quelli che erano gli strumenti fisici e mentali.
La lotta divenne concreta, fisica, materiale. Gli strumenti utilizzati andavano ad escludere sempre di più e precisamente quella che era la terza componente…il valore, l’energia sottile e primordiale colta in quella professione di fede che portò alla scelta della missione divenne strategia, lotta, ottenne etichette e definizioni che allontanarono sempre di più e resero sempre meglio quella che era la componente fisica e mentale dell’agire.
È fallita, io credo, ma fallì proprio perché si allontano la presenza dell’uomo da quella che era la Matrice Originale che portò alla scelta di libero arbitrio, dimenticata poi nel proseguo dell’azione perché divenne null’altro che azione sempre più precisa, definita…matematica quasi.
La strategia divenne perfetta, lo schema comprensibilissimo, condivisibile da altri; la lotta divenne di classe, di popolo, l’individuo sparì, la testimonianza di esso, la sua integrità, venne offerta a qualcosa di ben più lontano da quello che è l’uomo…
Esiste un modo per essere presenti nel vivere quotidiano, ma questo modo non va mai a prescindere da quella che è l’intimità e l’individualità della testimonianza. La testimonianza ottiene diverse forme, cangianti colori, ma rimane unica, precisa, rimane testimonianza di identità.
La presenza dell’uomo, la presenza di colui che cerca in fede muta nelle sue azioni creando diverse, discordanti testimonianze, ma nel momento in cui si va a ridurre ai minimi termini della presenza e dell’azione, si scopre che è l’individuo con un nome preciso, con una forza unica, originale. Se l’intuizione non porta altro che ad arricchire quello che è lo strumento mentale, se la presa di coscienza non porta ad altro che ad una azione più precisa legata alle potenzialità umane, qualcosa si è perso per strada, qualcosa si è tralasciato. Forse è il caso di a ritroso ripercorrere la strada ed il cammino fino a lì giunto.
Di fronte alla soglia dovete credere al bisogno di abbandonare quella che è la definizione fisica, a uscire, a portare fuori.
Capisco che l’urgenza a volte, il bisogno e la difficoltà costringano l’uomo a cercare soluzioni più precise, concrete ed immediate…ma ribaltare in questo modo quella che è l’attenzione crea distorsione, crea incomprensione, crea immagini false che sovrapponendosi creano scenari che non sono reali ma che appaiono quali scenari di teatro…

L’altro errore che io credo debba essere preciso e compreso è quando, portando intuizione in quello che è il vivere quotidiano, si arriva a definire quella che è la strada giusta, si arriva a definire quello che è il bene e, cosa più grave, è che si arriva a definire il bene non solo per sé stessi, ma anche per gli altri.
È facile cadere nell’errore del bisogno che gli altri hanno e della richiesta che questo bisogno giunge a voi. Lo scopo del vivere non è salvare, lo scopo del vivere giusto e retto non è quello di indicare la via a chi non la conosce, ma è quello di giungere alla completezza, creando compimento all’azione dell’uomo nella sua interezza, la mente, il corpo e la parte divina che in ogni uomo alberga.
Cerchiamo il corpo comune ora, portiamo le nostre presenze forti, complete, attive là, a fondersi in questo unico corpo, in questa catena solidale, luogo dove è facile lasciare protezione, attenzione.

Non credo che sia giusto che si pensi a noi come a voci solo che possono disturbare, come un ostacolo di fronte al cammino che porta a quello che è la vostra scelta e la vostra ricerca. In fondo se voi siete qui è anche perché noi – quali trapassati – abbiamo dato quella possibilità di cercare in una direzione che mai avreste potuto pensare, accettare o scegliere tanto meno. Non credo che ci sia stata costrizione da parte nostra a portarvi in quella direzione che porta verso coloro che – morti – si trovano in una dimensione diversa da quella in cui voi siete oggi e diversa anche da quella che voi pensate che sarà nel momento in cui avrete raggiunto pienezza del vostro divenire.
Mi dà fastidio, mi urta pensare che possa essere solo un ostacolo; in fondo sono stati la molla iniziale che vi ha portato a creare quelle condizioni che potessero far partire la ricerca verso la dimensione che ha sempre caratterizzato la nostra presenza, noi che – morti – ancora dialoghiamo con voi, vivi. Non considerandoci non vuol dire creare purezza e leggerezza; non considerandoci vuol dire in qualche modo offendere quello che è l’amore che abbiamo provato nei vostri confronti e che ancora oggi….
Lo spiritismo strumento grezzo, lo spiritismo impedimento, zavorra. Dovrete anche cercare di dare spiegazione di ciò che noi siamo e cosa ancora noi….
Siamo di qui o di là…che importanza ha? Noi siamo, lo affermo con piena coscienza e con piena presenza. La mia voce ha ancora tono, ha ancora senso…non è disturbo, non è distrazione, non è impedimento.
Attenti, a voler essere troppo puri ci si può trovare ad essere anche soli, e la solitudine, se nel buio e nel freddo, può essere sgradevole. Non esistono scorciatoie, non esiste protezione per le orecchie per impedire di cogliere quella che è la voce di coloro che sono morti.
Se ancora percepite voce vuol dire che comunque voi siete, nel vostro essere uomini in questo spazio, questo limbo..e se poi lo definite anche quale purgatorio vuol dire che in qualche modo decidete che noi siamo incompleti, incapaci, impuri a addivenire a retta pulizia.

16 aprile 2010

noveaprile 10

Quand’è che cessa quello che io ho chiamato il primo terzo dell’esperienza dell’uomo, dell’essere incarnato, dell’entità che diviene uomo che cammina, che pensa, che vive?
Non esiste un momento preciso, io credo, ma sono ben sicuro che sia una parte sola di quella che è la vita dell’uomo e credo che sia una parte che appartiene più o meno a quello che è il primo raggiungimento, il primo di tre gradini che fanno sì che l’uomo possa completare proficuamente quella che è stata la sua vita da essere incarnato. Questo primo terzo io l’ho chiamata auto definizione e mi è piacevole pensare ad essa come alla crescita di un albero che appena nato ha una spinta naturale, rigogliosa, il ragazzo che va a riconoscere la propria essenza di essere qualcosa che cresce, che diviene grande, che può apparire, essere riconoscibile; è l’arbusto che anno per anno tiene con vigore e con forza linfa, per potersi ergere.
All’inizio non capisci che albero sia, di quale genere, di quale famiglia. È solamente qualcosa che esprime quella che è la potenza e la forza naturale della crescita, la spinta da terra verso l’alto, l’ergersi libero da sostegni, libero da tutori. Il tempo passa proficuamente, le dimensioni rapidamente espandono quella che è la figura e la presenza di quell’essere. Poi lentamente questa energia, questa forza, questa espansione, frena; a questo punto in quest’albero c’è il bisogno di definirsi sempre meglio, far sì che possa essere riconoscibile, che possa avere un nome, che possa appartenere ad un gruppo. Allora l’attenzione è più sui particolari, sui particolari che rendono prezioso e gradevole quest’albero, che divenga sempre più precisamente diverso dagli altri…la cura dei particolari, la raffinatezza di essi, la qualità. È un lavoro più lento ma più preciso, consapevole.
Ad un certo punto anche questo lavoro va a cessare, perché non potrebbe più creare particolari nuovi, crescita nuova, è al massimo espandere della propria presenza. È un limite fisico che appartiene, sì, agli alberi, alla natura…ma anche all’uomo, io credo.
È proprio in quel momento, nella presa di coscienza di questa impossibilità di espandere ancora di più e meglio, che cessa quella che io ho chiamato auto determinazione.
Per quanto riguarda l’uomo, posso definire questo cambiamento con il termine “conversione”, presa di coscienza dell’impossibilità di espandere la propria presenza fisica nello spazio in cui questo albero si trova. Tutto ciò che era possibile l’ha espresso, potenziato, ma cercare di allungare ancora di più i rami del proprio albero li porterebbe a renderli fragili, facilmente si spezzerebbero. Creare ancora fiori oppure foglie su quei rami non farebbe altro che appesantire, creare fragilità, possibilità di collasso.
Anche l’uomo ha le stesse condizioni. È proprio nel momento in cui ha definito al meglio la sua grandezza che avviene quella che io chiamo conversione. Ci sono molti modi, molte cause che concorrono a questo cambiamento, a questa inversione, a questo ripensamento.
I più fortunati, credo, subiscono degli urti, subiscono delle provocazioni…l’albero viene scosso, può essere scosso da un vento, può essere scosso da qualcosa che gli cade addosso, può essere scosso dal terreno che cede al di sotto. Per l’uomo è la crisi, per l’uomo è la sofferenza, per l’uomo è la coscienza di non poter fare nulla di più di ciò che è stato fatto e bisogna trovare modo diverso per poter ancora essere…
Ho detto sono i fortunati che subiscono gli urti, sono i fortunati che subiscono gli scossoni che minano le certezze, sono le malattie che colpiscono l’uomo a dare senso, che scuotono, che costringono a prendere coscienza del proprio essere, della propria fragilità, della propria rigidità.
A scossoni di questo genere, a crisi che minano il senso dell’essere, bisogna trovare per forza di cose soluzione…e il cambiamento viene provocato, costretto.
I meno fortunati non subiscono l’urto che scuote, che fa cascare tutti i fiori…e allora cercano, mettono energia affinché il palco dei rami e delle fronde sia comunque bello, piacevole alla vista ed esprimono tutta la potenzialità energetica che hanno in questo mantenimento che impedisce il superamento del primo stadio, dell’uscita dell’auto determinazione e, credetemi, si può anche sprecare una vita intera cercando di proteggere ciò che si è creato fino a quel momento, cercando di garantire l’incolumità di ciò che si è addobbato.
Per fortuna giunge quella che è la morte fisica e allora per forza di cose l’urto avviene.. allora i tempi divengono più stretti, le possibilità, le capacità, le occasioni divengono sempre minori e l’urgenza, il freddo, la solitudine e il buio pungolano la sua ricerca…è per questo che sono i meno fortunati. Ma l’urto avverrà, l’albero verrà scosso alle radici, se l’uomo non sarà stato in grado di mettere in discussione ciò che ha realizzato attraverso l’auto determinazione, per cercare modi diversi di essere uomo, per cercare possibilità e occasioni diverse per esprimere valore, per creare compimento.
Il secondo passaggio, quello che io considero il secondo terzo della vita dell’uomo, è proprio la ricerca, lo sminuire, lo sfrondare, l’abbandonare ciò che con forza ed energia nel momento di maggior vigore si è costruito in quell’entità che è l’uomo, con un proprio nome, con una propria definizione, con una propria appartenenza, con un proprio colore, con una propria vibrazione…riconosciuto da tutti quanti a lui si avvicinano.
L’abbandonare ciò che si è creato con tanta energia, con tanto entusiasmo, con tanta voglia, se provocato da quello che è l’urto della sofferenza, diviene difficile, diviene malato, diviene difficoltoso, ma per forza di cose, perché lo stimolo maggiore è sicuramente la sofferenza, il dolore, in situazioni di questo genere. Dolore che può appartenere al fisico, ad una malattia, ma anche un dolore mentale, di incapacità di comprendere ciò che avviene, perché ciò che è avvenuto non è dipeso dalla volontà dell’essere ma di qualcosa che costringe cambiando le condizioni, impedendo a far sì che ciò che attorno all’uomo si trova venga plasmato dalla propria volontà.
Esistono forze che non appartengono più al volere dell’uomo, che agiscono, e l’uomo è costretto a subire queste forze e non riesce a dare senso, le sente quali violente, le sente impersonali, ingiuste, a volte profondamente sbagliate. Riconosce in esse il male…soffre.
Il bisogno di uscire da questo stato di sofferenza costringe la ricerca a trovare soluzioni, comprensione. pian piano quella che è la presenza dell’essere si racchiude un poco, diviene più piccola, decresce, è meno appariscente, meno definita, meno colorata, meno profumata.
Si cerca di portare a ciò che è il centro dell’essere l’accumulo di energia. Se prima la funzione era di andare verso la periferia, in quella che era la manifestazione, l’apparenza…il bisogno di creare calore, il bisogno di creare protezione, fa quasi rattrappire su sé stesso l’uomo che soffre.
A quel punto qualcosa ancora avviene, è il completamento del secondo terzo del vivere dell’uomo.
Esiste anche una strada diversa per coloro che sono meno fortunati, coloro che non hanno subito l’urto che li costringe a dover cambiare la propria direzione, a convergere, a mutare, a trovare strade nuove. Questi meno fortunati sono costretti a scegliere di cambiare, sono costretti a scegliere la conversione perché riconoscono in essa valore e bontà.
Chi cerca in verità giunge a questo bivio; chi porta la sua testimonianza critica, presente, costantemente agente attraverso scelta di libero arbitrio, giunge a questo bivio. Non c’è più costrizione, non c’è più dolore, altre sensazioni assalgono l’uomo, l’incapacità, l’impotenza , a volte. È la ricerca e la condivisione di essa che porta a trovare ausilio, a trovare conforto e beneficio.
Cercare di riconoscere dentro di sé le tracce di ciò che avviene, misurando attentamente, con scrupolo, la propria testimonianza, la propria presenza, il proprio essere. Verifica non su ciò che viene realizzato, fatto concretamente, ma verifica sulla presenza, su quella che è la testimonianza, su quello che è il supporto cosciente della scelta del vivere…contrapporsi a volte, costringersi a capire.
Molte volte la conversione avviene prendendo coscienza della impossibilità di proseguire oltre con quella direzione…allora qualsiasi strada, qualsiasi direzione diviene buona e auspicabile perché va solo a mutare quella che è la direzione che noi abbiamo considerato quale sbagliata, improduttiva, incapace di portare qualità.
Non attendete questo momento. Cercate di comprendere qual è la direzione.

La scelta del libero arbitrio non è il cambiamento, ma è la direzione che il cambiamento porta; la scelta del libero arbitrio non è cessare la direzione che si è perseguita fino a quel momento ma è scegliere la direzione che devia da quella che è la traiettoria fino a quel momento portata avanti.
Non cambiate per cambiare, non cambiate per non affrontare l’impossibilità di proseguire; scegliete una direzione perché la riconoscete vostra.

Cerchiamo il corpo comune ora. Cerchiamo il luogo nel quale poter realizzare…..il nostro stagno…


Il vantaggio del non essere più vivo è quello di avere un coperchio che chiude. Io ho sempre pensato che l’uomo fosse un grande vaso, smisurato, nel quale accumulare tutto quanto veniva offerto.
Ora che sono morto, io che ero così capace di riempire, di fagocitare tutto ciò che mi veniva a tiro, oggi non riesco più a infilare nulla…sento che questo vaso ha un coperchio, ha un coperchio ben rigido, che non ha spigoli sui quali fare forza per poterlo strappare e creare ancora possibilità di ottenere, di avere, di fare proprio ciò che ci passa attorno.
L’essere morto mi ha fatto anche comprendere che io non sono quel vaso, perché in fondo se io sono al di fuori di esso perché sento che il coperchio chiude quello che è il buco che permette alle cose di entrare nel vaso…vuol dire che io non sono il vaso.
Sono sempre stato capace di ottenere ciò di cui avevo bisogno…imparare a chiedere è stato fondamentale. La domanda, fatta nel modo giusto, sguarnisce chi hai vicino; la domanda, la richiesta, il bisogno, la supplica, ti danno la possibilità di porti un attimino al di sotto e di guardare dal basso verso l’alto colui a cui mendichi aiuto, rassicurazione, calore, cose,denaro.
Ma il vaso è chiuso ora, il tappo è ben saldo, è cosa unica con quello che è il vaso, sigillato, strettamente chiuso…eppure so che all’interno di quel vaso tanto spazio c’è ancora, tante domande urgono, tante cose….ma che ne faccio di questo vaso che oggi capisco di essermi portato appresso per tutta quanta la mia vita?
Caspita se è grande!
Chiedere mi dava competenza, chiedere mi faceva sentire capace, perché se ero in grado di chiedere sapevo ciò di cui avevo bisogno…se sapevo ciò di cui avevo bisogno sapevo chi ero…sapere chi ero mi faceva sentire bravo. Io ero per ciò che mi mancava; io ero ciò che sarei stato se avessi avuto ciò che chiedevo.ma io oggi non sono ciò che ho ottenuto chiedendo…io oggi non manco di ciò che non ho ancora chiesto e vorrei chiedere.
Chi sono? Cosa potrei non chiedere, che cosa potrei cercare di togliere dalla mia richiesta…che cosa potrebbe non servirmi? Tutto ciò che ho avuto però è all’interno di quel vaso chiuso; di quello non posso disfarmi, l’ho già ottenuto, è mio ed è ben chiuso in quel vaso sigillato, che però non sono io.
Non capisco che cosa vorrei essere…perché non sono ciò che avrei voluto. Ho sempre pensato perché non ho ricevuto quello che io avevo chiesto, che io non sono divenuto ciò che avrei desiderato essere.
Ho sempre pensato di ben sapere ciò che volevo divenire ed ero certo che ciò che mi mancava l’avrei ottenuto attraverso una richiesta. Era una lista precisa…ma che me ne faccio ora?
Sono confuso…non sono capace….non sono.