venerdi sera gruppo di ricerca medianica e spiritismo

Quelli che sono morti non se ne sono mai andati sono nell’ombra che si rischiara e nell’ombra che si ispessisce I morti non sono sotto la terra sono nell’albero che stormisce, sono nel bosco che geme, sono nella dimora, sono nella folla Ascolta più spesso la voce del fuoco, odi la voce dell’acqua ascolta nel vento del cespuglio i singhiozzi è il soffio degli antenati I morti non sono sotto la terra, sono nel seno della donna. sono nel bimbo che vagisce sono nel fuoco che si spegne

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11 agosto 2009

setteagosto 09

Avete…abbiamo fatto un lungo giro per tornare, io credo, al punto di partenza: la condivisione, termine affascinante, termine che riempie le orecchie, riempie la mente, la bocca.
La condivisione e, ancora meglio, il corpo comune. Perché è la situazione magica? Perché io credo che sia la condizione che ci permette di giungere accanto alla soglia, vi ho detto.
Se la soglia è percepibile nel momento in cui il passaggio tra la vita fisica e la morte fisica ci porta a quel limite che è la soglia…la soglia può essere avvistata, provata, verificata, vista anche attraverso l’esperienza del corpo comune, della condivisione.
La condivisione ci porta a quella situazione che ci riguardava prima che nasceste e vi riguarderà dopo la vostra morte fisica; è una situazione che voi conoscete bene perché è già caricata dentro di voi, nella vostra coscienza, ma è anche una situazione che vi aspetta e diverrà come punto terminale di questa esperienza fisica che è la vita dell’uomo.
La condivisione è il momento magico, è l’approssimarsi alla porta, è anche la possibilità di cogliere ciò che esiste aldilà di quella porta. La condivisione è anche l’Eucaristia per i cristiani, la possibilità di condividere, di essere con Colui che non è uomo, appartiene alla dimensione spiritica, Divina.
Condividere…ma la difficoltà è comprendere in quale modo si può giungere a condividere. L’esperienza, la ricerca che voi state cercando di fare in questo cerchio spiritico, ha come punto centrale, come punto focale, proprio il corpo comune…ma quanto è difficile poterlo realizzare! E quanto è difficile cogliere di averlo realizzato, essere convinti, coscienti di essere giunti lì, accanto a quella porta che ci permette di abbandonare l’individualità in funzione di una situazione che già ci è appartenuta e che avverrà alla fine del nostro cerchio di vita fisica, umana.
Condividere. Nella gioia è possibile, è più facile comprendere quale possa essere il modo; qualcuno degli incontri che ci sono stati in questo cerchio hanno portato alla condivisione fisica, sensuale, per comprendere quale era la possibilità…e la connotazione, il punto di riferimento, la verifica che la condivisione era avvenuta è la perdita del controllo, vi fu detto.
Nel corpo comune può avvenire la stessa situazione: la perdita del controllo, lo spegnere l’individualità, il cedere a qualcosa che non appartiene alla nostra definizione individuale, che non ha un nome.
Nella sofferenza è tanto più difficile quanto può essere comprensibile nella gioia, nel piacere. Difficile, non da realizzare in fondo, io credo, perché in fondo io credo proprio che attraverso la condivisione della sofferenza sia più facile raggiungere la condivisione…che non attraverso la gioia. Ma la nostra mente, la vostra mente, più facilmente accetterà la condivisione se avverrà attraverso la gioia.
Perché? Perché è più logico, è più giusto, è più buono. Arrivare ad accettare di poter condividere la sofferenza non è così facile, così logico, così buono.
Il timore della malattia, il timore del dolore, che non hanno nulla a che fare, io credo, con la sofferenza; però è naturale, è umano tradurre sofferenza con dolore e malattia, proprio per etichettare nuovamente, incasellare, dare definizione precisa, inconfutabile…e nel momento in cui la definizione inconfutabile è avvenuta…la scelta di non sceglierla, di non volerla per sé.
È difficile poter definire ciò che è condivisione, è difficile poter determinare precisamente, attraverso le parole, ciò che è corpo comune. La verifica è individuale, io credo; per ognuno di voi avviene nel momento in cui se ne prende coscienza ma il tempo in cui si diceva che la perdita di controllo solamente essa porta alla possibilità di condividere, non ha più senso.
Pretendo, chiedo, voglio presenza, scelta e libero arbitrio anche nella coscienza di condivisione.
Io credo ci sia molto da maturare, da lavorare, da cercare per definire ciò che è condivisione, Eucaristia, corpo comune…ma è proprio la dimensione che ci dà squarcio e consapevolezza di ciò che fu e ciò che sarà, senza dubbio alcuno, senza possibilità diversa se non questa…assoluta, indubbia.

Perché proprio la condivisione della sofferenza è la componente necessaria per completare, per dare senso e immagine a quello che è l’arazzo, il disegno…proprio perché è la componente che l’uomo ha sempre cercato di fuggire, di evitare, di allontanare da sé perché irrazionale, perché dolorosa, perché cieca, folle…perché è lontana da quella che è l’individualità, dalla comprensione individuale, dalla possibilità mentale dell’essere.
È forse il primo traguardo posto sul cammino del superamento dell’individualità, una scelta irrazionale, illogica, una scelta fatta attraverso l’attivazione di metri, strumenti di misura che non sono solo la mente. Se la scelta della sofferenza è fine a sé stessa, ripeto ancora, è malata, sbagliata.
La scelta è riconoscimento, la partecipazione alla sofferenza ha da essere scelta di libero arbitrio, vuol dire completa partecipazione al movimento, all’attivazione che scaturisce dalla scelta, al muoversi verso, a creare le condizioni perché ciò avvenga.
Mi ricordo, ci fu un’entità che vi parlò già in questi termini della sofferenza, un’entità che chiedeva:” Io che mai ho provato sofferenza, sono monco, allora? Sono incapace? Mi manca qualche cosa?” La risposta, e fu la risposta di Emanuele, era nel far sì che la sofferenza degli altri potesse essere anche la propria sofferenza…e l’unico modo è attraverso la condivisione.
Ad ogni essere è data la possibilità per completare il proprio arazzo; le occasioni, gli strumenti sono anche più e più volte sufficienti a raggiungere ciò che è la comprensione. A voi riconoscerli come buoni, come facenti parte, come a voi competenti.
Il timore della malattia e del dolore è buio, è cieco e urla in questo buio, in questo essere ciechi. È la propria singola individualità che si ribella alla negazione di essa. Tutto ciò avverrà nel momento in cui si riconoscerà che lo stadio successivo, la metamorfosi successiva, sarà migliore, più giusta, più in sintonia, più armonica.
Siamo tornati al corpo comune, siamo tornati al momento magico della condivisione. Sforzatevi in esso, sforzatevi attraverso una scelta precisa di esso, al cedere individualità in esso. Spegnere, disattivare in funzione di qualcosa d’altro ben più grande che già ci appartiene e fu cosciente e lo sarà nuovamente.
Lo stagno allora……………


Chi mi stava accanto non mi ha mai accettato nella mia veste di donna malata, perché questo mio essere malata mi portava ad essere sgradevole, insofferente e a volte cattiva. I commenti erano sempre quelli, triti e ritriti,”non ci pensare, passa oltre, guarirai”, ma io ero ben certa che non avrei mai potuto guarire.
Io ero in quel modo, scura, sofferente e cattiva; neppure i farmaci spensero, chetarono questo mio essere. Iniziai a fingere per soddisfare quei sorrisi di circostanza, lo so di essere sofferente, cattiva e mi riconosco tale e chi non mi accetta, forzandomi ad essere diversa, considerandomi veramente cattiva non mi conosce e di certo non vuole accostarsi a me, prendere la mia mano, stringerla e portarla a sé.
Ho bisogno di essere in questo modo, ho bisogno di non reprimere questo mio stato, ho bisogno di graffiare, di fare del male affinché chi attorno a me si trova reagisca per ciò che io realmente sono e non mi contenga, non mi cheti, non sedi la mia presenza.
Io sono cattiva ed è la sofferenza che mi porta ad esserlo e tu, che non riconosci questo mio essere, null’altro fai che alimentare questo bisogno di essere proprio così.
Io ti voglio male e voglio volerti male con tutta me stessa.