venerdi sera gruppo di ricerca medianica e spiritismo

Quelli che sono morti non se ne sono mai andati sono nell’ombra che si rischiara e nell’ombra che si ispessisce I morti non sono sotto la terra sono nell’albero che stormisce, sono nel bosco che geme, sono nella dimora, sono nella folla Ascolta più spesso la voce del fuoco, odi la voce dell’acqua ascolta nel vento del cespuglio i singhiozzi è il soffio degli antenati I morti non sono sotto la terra, sono nel seno della donna. sono nel bimbo che vagisce sono nel fuoco che si spegne

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28 novembre 2008

ventunonovembre 08

Ancora, adesso io Emanuele per il cerchio, il cerchio spiritico.

Questa sera vorrei fare un poco di chiarezza per le mie affermazioni riguardo ai valori, ai principi.
Mi accorgo, ho piena coscienza del fatto che le parole e l’uso delle parole sia un limite molto grande. Una parola ha un senso, ma può averne un altro diametralmente opposto, a seconda della persona che la pronuncia e del concetto che vuole esprimere.
Quando io ho parlato dei principi, dei valori e della difficoltà che possono creare, ho parlato da prete, da prete che si è smarrito. Per me i valori erano la Dottrina, erano il Libro. Per un prete, per un religioso che decide di affrontare la via che io accettai, i Voti, vuol dire in qualche modo annullare quella che è l’essenza individuale di quella persona; addirittura si arriva a cambiare nome.
Questo vale per me, ma anche per le mie sorelle che decisero e che decidono ancora oggi di prendere i Voti: viene abbandonato il proprio nome per accoglierne un altro ben diverso, in genere quasi sempre a immagine e somiglianza di qualcuno che ci ha preceduto, di un Santo, di una pia donna.
Questo annullarsi, però, ci crea un grave problema, io credo. Non è più l’individuo che sceglie, accoglie, affronta, impugna la propria strada, ma è la strada, la vocazione, che portano a far sì che l’uomo annulli sé stesso in funzione di qualche cosa già pianificato, già strutturato, già codificato.
Io credo che questo sia un errore grave perché, così come è successo per me, succederà per chiunque: decidere di superare sé stesso, la propria individualità negandola, castrandola, in funzione di un’immagine che non gli appartiene, non riconosce se non per il gradevole desiderio di essere così come è stato colui che lo ha preceduto.
È un’infatuazione, è una sbornia che prima o poi ha da essere superata, e lo smarrimento ti coglie, ne sono più che certo, per coloro che erano così come io ero. Non voglio, con questo mio dire, cercare di creare di tutte quante le persone che hanno fatto la mia scelta la stessa mia condizione…sarebbe sciocco, sarebbe stupido, sarebbe cieco. Ma quello che dico riguarda ciò che è stato e ciò che è Emanuele, la cecità che lo portò ad affrontare un abito che non riconosceva, cercando di abituare il suo corpo alle fattezze di quell’abito, alle misure, alle forme, alla rigidità, alla sacralità di quell’abito senza aver creato i presupposti per essere in quel modo, senza averli riconosciuti come propria scelta, ma come unico adeguamento a qualcosa di già stabilito ma affascinante, facile, scontato.
Credo che per altri i valori possano essere diversi. Io sono certo che nella grotta di QUMRAN Emanuele trovò un valore e quel valore io l’ho chiamato grano di consapevolezza.
Si possono raggiungere grani di consapevolezza e individuare in questi grani di consapevolezza bontà per colui che li coglie, per colui che li ha intuiti e fatti propri. Non per forza di cose è valore che può essere assoggettato e affidato anche ad altri…
Grani di consapevolezza…io ho individuato una differenza per quello che era il rigore e la bontà del Libro, contro invece a ciò che trovai nella grotta di Q.
Il Libro aveva una grande capacità, la Dottrina aveva un grande potere, quello di poter rispondere a qualsiasi domanda con una ricetta, un modo di fare, un’indicazione, un precetto.
I grani di consapevolezza mi hanno portato ad una situazione diversa: se il Libro, la Dottrina, mi riempivano la bocca e facevano in modo che io fossi pronto, sempre, in qualsiasi momento a qualsiasi domanda, la consapevolezza mi portò a tacere e a mutare il mio modo di vivere, di testimoniare, di essere.
Questo tenere la bocca chiusa e usare poco le parole mi portava ad una visione più profonda di quello che era il mio agire anche nell’incontro con gli altri, non necessariamente sull’agire individuale, personale. Il grano di consapevolezza ti porta ad una sensazione di benessere nel momento in cui tu agisci, ti porta a comprendere in profondità qual è l’azione giusta che vale per te, per cui non cerchi la risposta da dare a chi ti domanda lume, ma trovi risposta nel momento della tua azione.
Sono due cose diverse che posso chiamare con lo stesso termine, valore, bontà…ma hanno due presupposti diversi, io credo. Uno è Testimonianza, l’altro è Dottrina.
È per quello che il mio timore di confondere con le mie parole i vostri pensieri…ognuno deve essere in grado di valutare su sé ciò che ha valore e riconoscere valore nel momento in cui ti dà ausilio e capacità, aiuto nel momento dell’azione, dell’essere con, nel momento di offrire testimonianza, nel momento del vivere.
Sarete riconosciuti non per le vostre risposte ma per il vostro agire, per la coerenza.
Se il valore è così come io chiamo grano di consapevolezza, ben venga, divenga caposaldo; se il valore è Dottrina, ricetta caricata, subita, allontanatelo, scrollatelo con forza dalle radici, mettendolo in atto per ciò che riguarda voi personalmente, nel vostro agire. Non divenga soluzione per il quesito dell’altro ma divenga reale testo per l’agire vostro, per il vostro agire individuale, personale, intimo. In questo modo scrollate il valore che credevate tale o che credete ancora tale. Non è detto che abbia da essere azzerato, rifiutato, allontanato…sarebbe sciocco così come quando lo si accetta senza averlo effettivamente riconosciuto dentro di sé.
Cercate risposta nel vostro agire. Se in questo modo vi comporterete, sempre meno arriverete a chiedere aiuto, domanda, maestro, perché troverete risposta, alimento da quella che è la vostra consapevolezza. Questo non vuol dire che io neghi l’intervento esterno dall’individuo; anche qui non vorrei creare confusione: io credo nell’Essere Supremo, ne credo talmente tanto che so di farne parte, Lo riconosco dentro di me…e se Lo riconosco dentro di me non posso negare che esista, però, per come io sono – Emanuele in questo momento – difficilmente sono disposto a delegare ad un Essere Supremo la scelta, la decisione. Arrogo il diritto del mio libero arbitrio a scegliere, non negando la presenza e la potenza dell’Essere Supremo, di Dio.

Già parlai della mia visione, di ciò che io ritengo sia Dio, ma cerco di non lasciarmi troppo distrarre da questa a volte ingombrante presenza, e può divenire tale nel momento in cui noi rendiamo dipendenti le nostre azioni da questa Presenza.
Il lavoro che noi possiamo fare nei rapporti con questa Entità, è creare le condizioni affinché ci possa essere uno scambio, e lo scambio avviene attraverso simili, io credo, non attraverso diversi livelli di presenza, di potenza.
Io posso lavorare su ciò che è Emanuele, quale strumento per accogliere – o svelare, per meglio dire – la presenza del Divino. Se io sarò in grado di accoglierlo, cedendo quella che è l’aridità della mia bolla, l’azione del Divino sarà capace, attiva; ma la mia azione deve essere sulla bolla, su ciò che io sono, su ciò che Emanuele è.
Allontanandomi da quello che è il mio nome e la mia essenza, negando quello che è il mio nome e la mia essenza non raggiungerò mai l’Eucaristia.
Lo sforzo, l’intervento, l’azione, ha da essere su Emanuele, affinché possa divenire vaso, affinché possa divenire contenitore aperto e la simbiosi possa avvenire.
Il mio timore è l’uso delle parole, lo strumento, il mezzo che utilizziamo. È per questo motivo che io cerco confronto con voi. Il mio messaggio è testimonianza, il mio messaggio è punto di vista, il mio messaggio è da anello paritario.
Ci tenevo, era importante per me poter chiarire bene…

Ancora qualche cosa in merito alla paura dell’essere soli.
Io credo che sia la prima paura, il primo timore che coglie colui che si smarrisce…e cercare prima attorno a sé qualcosa a cui aggrapparsi…ma è salutare questo timore, è chiarificatore, è illuminante. Prendere coscienza di essere soli, invocare il proprio nome, farlo risuonare, creare eco profonda dentro di sé…
C’è un’affermazione che mia madre faceva molto spesso; diceva sempre:” Quando ce ne fosse veramente bisogno io troverei le capacità, troverei il valore, troverei la qualità che riconosco in me…perché debbo io sprecarla, ora che non ce n’è bisogno ?”
È l’essere costretti in un angolo, soli, smarriti, che fa emergere quel valore, quella capacità, quella potenza che a tutti quanti noi appartiene.
Può apparire illogico, a volte, prima affermare che la negazione dell’individuo, dell’essere, sia sbagliata…e parlare poi di smarrimento. Provate a cercare di comprendere la differenza fra le due situazioni.
Ho spesso affermato che il vero smarrimento è la situazione dell’essere che muore, dell’uomo che trapassa. È una condizione causata la situazione dell’angolo che ci costringe, ma credo che esista la possibilità anche per l’essere incarnato di trovare questa situazione, utilizzando ciò che è la chiave più grande che appartiene all’uomo, ed è il libero arbitrio. Quando la nostra mente e il nostro corpo cederanno alla bontà di questa visione, potrà avvenire…credo che sia possibile.
Superamento cosciente dell’individualità. È una frase che ricorre spesso, io credo, ma la difficoltà è dare senso a questa frase, senso sempre più profondo, più completo, più personale. Dare senso per noi che affermiamo questo valore.
Sì, è vero, io credo che i due termini che possono distinguere quella che è la Dottrina e quella che è la coscienza, possano essere la sapienza e la coscienza ; credo anche che non sia impossibile per il sapiente poter divenire cosciente, ma sicuramente sarà un percorso più difficile, travagliato, di certo più soddisfacente e più gravido di soddisfazione rispetto a colui che preclude la conoscenza ; lo sforzo per conoscere è l’utilizzo di un talento indispensabile all’uomo.
Il superamento di questa ricerca non sempre è più capace.
La sapienza è un alimento molto dolce per la presunzione; l’ignoranza, la non – ricerca, è un alimento molto dolce per la remissione.
Non so quale delle due strade sia la più proficua. Per ogni essere, per ogni originale esiste la propria strada.
D. (N) Non sempre la conoscenza è arroganza.
Ma è dolce alimento…
D. (N) Può essere anche evoluzione della coscienza (la conoscenza).
Ma è grande tentazione…Non necessariamente ci si può nutrire di quel dolce alimento e non necessariamente si può cedere alla tentazione.
Io credo che per il sapiente sia più tribolato, ma dia una soddisfazione enorme giungere alla coscienza attraverso i meandri della conoscenza, attraverso la verifica ,attraverso la somma, attraverso la soluzione.
Il sapiente che aggiunge grani di coscienza, sarà l’essere saggio che non disperde sentenze, ma che cambia il proprio vivere.
D. (N) Con questo sono d’accordo.
Vedi, il peccato, l’errore più grave, è di considerare qualità, livelli diversi a seconda delle esperienze che l’uomo, l’essere affronta nel proprio cercare. Ho utilizzato il termine cerca perché credo che possa comprendere qualsiasi tipo di esperienza che l’uomo sceglie, sia essa quale approfondimento, ricerca di conoscenza, di sapienza ma anche quello di rendere nudo, sgombro, parco, il proprio vivere.
La qualità, in queste due scelte che paiono così distanti, è nella scelta del libero arbitrio, sia una che l’altra. La soddisfazione del bisogno e dello stare bene, del proseguire della propria individuale vita, ricerca, cammino.
Si ha spesso la tendenza di qualificare il valore dell’uomo a seconda delle esperienze è del tipo di ricerca che egli fa; è un peccato è un errore.
Verificate sempre la presenza nella scelta dell’individuo; la qualità è proprio nella profonda espressione del libero arbitrio, della scelta mai subita, mai plagiata.

Cerchiamo la catena ora, cerchiamo il nostro essere comune, il nostro corpo comune; è un momento magico quello che ci permette di scrutare dentro di noi , che ci permette di cercare quel tesoro che ci appartiene.
Portiamo qui con noi tutti gli amici che ci vogliono bene, tutti coloro che noi amiamo con i quali stiamo bene. Facciamo a loro spazio, permettiamo loro di accomodarsi comodamente accanto a noi, tra di noi.
Cerchiamo la nostra grotta, sistemiamoci sul nostro sedile, facciamoci lavare da questa luce che scende dall’alto, sentiamola scivolare sul nostro corpo, sentiamoci da essa dilavare, denudare; tutte le nostre rigidità scendono, scivolano a terra.
Facciamoci attirare verso l’alto da questa luce, sospesi…
Cerchiamo di entrare nel nostro intimo…c’è una luce calda dentro di noi…afferriamola, palpiamola, sentiamola, per poi portarla fuori, di fronte a noi, a fondersi con tutte le altre.
Torniamo alla catena, ringraziamo gli amici che sono stati con noi, grati della loro presenza…


È tempo, è tempo per me ora di terminare.
A voi tutti il mio saluto, arrivederci.