venerdi sera gruppo di ricerca medianica e spiritismo

Quelli che sono morti non se ne sono mai andati sono nell’ombra che si rischiara e nell’ombra che si ispessisce I morti non sono sotto la terra sono nell’albero che stormisce, sono nel bosco che geme, sono nella dimora, sono nella folla Ascolta più spesso la voce del fuoco, odi la voce dell’acqua ascolta nel vento del cespuglio i singhiozzi è il soffio degli antenati I morti non sono sotto la terra, sono nel seno della donna. sono nel bimbo che vagisce sono nel fuoco che si spegne

Nome:

31 maggio 2008

sedicimaggio 08

Ancora, adesso io Emanuele, per il cerchio, il cerchio spiritico.

Mi allontanerò nuovamente da quella che è l’attenzione su Emanuele ed in modo particolare sull’Emanuele della grotta di Qumran, anche se desidero, voglio e vorrei tanto che anche voi voleste essere con me, attraverso il corpo comune, nella grotta, la grotta di Qumran.
Cercheremo quell’immagine per poter scambiare, per poter condividere quello che è il nostro corpo comune.
Dopo venerdì scorso, però, mi sono accorto che credevo – sbagliando – di aver abbandonato la paura di morire, ma in fondo è ancora presente in me e quando il distacco…il momento in cui io debbo scaricare, debbo cedere quella parte vitale che ancora riconosco in me, ho di nuovo paura e l’abbranco di nuovo a due mani per portarmela dentro affinché pulsi e dia calore e luce a quell’involucro che definisce Emanuele nel suo essere concreto, definito, conosciuto…ma anche da me, non solo dagli altri o da chi mi sta attorno.
Probabilmente ho ancora bisogno di essere Emanuele il prete, ciò che fu il prete…e ancora è vero, se allora mi chiamavo Emanuele, ancora oggi il mio nome è Emanuele, non vi è dubbio, e al sentire che qualcosa si disgiunge da me, si stacca, mi assale ancora questa paura che credevo di avere superato, ma ho solo motivato, ho solo giustificato, ho solo creato soddisfazione al mio modo di pensare, di ragionare.
Il quadro è sicuramente più definito, ma passare da ciò che è l’immagine alla realizzazione di essa ancora mi crea timore…sento questa difficoltà…
Il tesoro indubbiamente è questa vita che pulsa dentro di me e la condivisione di essa è proprio offrirla per poter passare oltre, proseguire oltre, abbandonare il calore e il bisogno di esso, abbandonare la luce e il bisogno di essa.
Riuscirò, riuscirò sicuramente con voi a fare questo…ma lasciatemi ancora questo poco di timore che frena, lasciatemi indugiare ancora un po’…
Desidero però che poi il nostro corpo comune sia creato là in quell’immagine che è la mia grotta di Qumran, è desiderio certo per me poterla condividere con voi…e così faremo. Ma alimentiamo, diamo ancora spazio a quella che è la mia mente. C’è il mio bisogno, perché probabilmente è tale, è mio questo bisogno di parlare, di parlare ancora del peccato perché, è vero, io fui prete e non vi è dubbio in questo. Il mio evolvere, il mio cambiare, il mio trasformarmi è stato in qualche modo veicolato attraverso questa veste che era quella del prete.
Il peccato…ha una spiegazione diversa, un senso diverso da quello che era quando anch’io professavo quella fede, quella retta via che era la religione.
Io oggi invece credo che il peccato sia indispensabile all’uomo, sia una presa di coscienza indispensabile, non per nulla credo che all’uomo gli sia affibbiato quale prima azione, come determinazione di esso, il peccato originale. Io sono convinto che quello che è chiamato “peccato originale” sia stata la prima vera affermazione di scelta del libero arbitrio; attraverso essa l’uomo si è determinato tale, entità ben precisa, definita, consapevole. Finalmente riconobbe in sé la possibilità di scegliere e l’uomo lo fece, con piena sicurezza di scegliere.
È stata un’affermazione importante, è stata una dichiarazione importante, indispensabile affinché potesse – il cammino dell’uomo – essere finalmente un’evoluzione.
Il giardino. Già ve ne parlai di questo giardino, del recinto il quale proteggeva, il quale impediva all’uomo di poter sbagliare, ma in fondo l’uomo aveva veramente e solamente bisogno di poter sbagliare per poter iniziare il suo cammino.
È stato chiamato peccato originale ma fu indubbiamente la salvezza dell’uomo…e ognuno di noi commette questo peccato originale; non è vero che fu commesso solamente dal primo uomo e noi ne portiamo la colpa, quale fosse un marchio. Ognuno di noi ha commesso il proprio peccato originale attraverso l’attivazione cosciente del libero arbitrio, la scelta.
Quando si dice che il Cristo venne per poterci mondare da questo peccato, non è stata la sua vita, la sua morte il mondarci, il liberarci, l’affrancarci da questo peccato…no…è stata semplicemente l’immagine di come l’uomo avrebbe potuto liberarsi, prima affermando la propria essenza di uomo nelle sue tre componenti per poterle poi abbandonare coscientemente.
Ma se l’affermazione non veniva fatta, se l’affermazione non avviene con forza e con piena potestà da parte dell’uomo, che affermazione è?
Il libero arbitrio è proclamare, è affermare, è rivendicare la propria individualità, dare un nome a quell’involucro fisico, a quegli abiti che l’essenza veste nella sua scelta di vita terrena.
Indubbiamente l’immagine del Cristo ci ha dato la visione della possibilità di libertà da questa affermazione, da questo abito…ma è impensabile credere che il Cristo ci abbia precluso la possibilità di peccare del peccato originale.
Il peccato originale è, ripeto, l’affermazione della individualità dell’uomo; senza questo peccato originale difficilmente l’uomo sarebbe stato tale e avrebbe potuto camminare sull’evoluzione che gli compete e gli spetta.
L’immagine del Dio fatto uomo non è altro che la dimostrazione della possibilità reale dell’affrancarsi attraverso un’esperienza concreta, legata ad un corpo fisico, legata alle vesti dell’uomo e – come già vi ho detto – affermarsi per potersi poi liberare da questa affermazione..
Ma non posso liberarmi da essa se non coscientemente scelgo di poter abbandonare questo libero arbitrio…ma dopo averlo affermato con forza, con coscienza, dando un nome, chiamando questo nome forte affinché sia udito.
Grazie al peccato originale! Senza di esso difficilmente l’uomo avrebbe avuto gli strumenti necessari per poter progredire, per poter affermare la propria esperienza.
Io non vorrei…non desidero che questo mio dire sia solamente un bisogno che appartiene ad Emanuele, ma è diventato quasi indispensabile – per la mia ragione – di collocare alcuni concetti che ho rifiutato quando rifiutai la mia immagine di prete. È facile e a volte scontato quello di rigettare tutto quanto si è raccolto attraverso anni di vita…ma se può essere comprensibile quale prima reazione alla presa di coscienza di un errore, diverrebbe colpevole non cercare di recuperare ciò che è il vissuto in quel periodo di vita che si crede possa essere stato sprecato.
Questo mio bisogno di incastrare uno nell’altro questi pezzi che io avevo gettato a terra, rifiutato, credo che sia indispensabile per recuperare anche quel tempo che io credei sprecato, sbagliando in questa mia convinzione. Potrei ben evitare di volgermi indietro ma ho la sensazione – e non solo una sensazione – che sia questo mio condividere con voi queste cose che mi porti a volgermi indietro.

Cerchiamo il corpo comune ora…cerchiamolo con rinnovata energia.
Non abbiamo di certo abbandonato questa nostra possibilità, sentiamoci convinti ancora in essa, in questo nostro essere assieme, in questo nostro condividere per creare qualche cosa che divenga più grande di noi, che ci superi, che travalichi i nostri limiti. Cerchiamo di cedere gli uni agli altri, cerchiamo di trarre forza, coscienza in questo nostro superarci.
Visualizziamo quella grotta di cui vi ho parlato…io la chiamai Qumran.
Un raggio di luce, di sole, casca dall’alto…il cono di luce è ben definito, preciso, quasi solido e illumina uno spazio sul quale ci sono dei sassi; io so qual è il mio e non ho esitazioni ad andare verso di esso. Cercate anche voi il vostro, sentite qual è perché vi appartiene, vi appartiene lo spazio che è attorno ad esso, la sabbia sulla quale poggia; la porzione di luce che cade su di esso vi appartiene, in essa vi riconoscete, il vostro corpo riconosce quel sasso come il vostro posto sul quale è facile abbandonare controllo, rigidità, tensione, sul quale è facile abbandonarsi senza timore di cascare, sul quale è facile cedere perché nessuno ci può minacciare, niente ci può urtare, perché è il nostro posto.
La luce del sole casca dall’alto…anche se chiudiamo gli occhi sentiamo la sua presenza, il suo colore che ci lega in un unico cerchio dove nulla è nascosto, dove tutto quanto è palese e galleggia all’interno di questo cerchio.
Non c’è nulla da interpretare, da svelare, tutto è come appare. Ciò che noi siamo è lì con noi, tutto ciò che ci serve è lì con noi, tutto ciò che abbiamo ci sta accanto.
La luce come un’acqua scorre sul nostro corpo, crea una direzione, un movimento…è piacevole sentirsi accarezzare, svelare, scoprire da questa luce.
È facile cogliere e leggere le presenze che sono con noi in questo cerchio…anch’esse hanno ceduto, anch’esse sono svelate…
Il nostro corpo è completamente rilassato, ma c’è qualcosa dentro di noi che ancora è desto, caldo, luminoso, cerca la nostra attenzione, desidera essere riconosciuto, palese…..

Riprendiamo contatto, sentiamo il nostro corpo, sentiamo il sasso, la rigidità di esso, il sasso sul quale siamo seduti….risaliamo…
Esiste una forza, un movimento che io ho imparato a cogliere, a riconoscere in questa grotta ed è un movimento che va in due direzioni opposte una all’altra…il mio corpo tende a cadere, ad abbassarsi verso terra, ma qualcosa levita verso l’alto,quasi che questo movimento cercasse di spezzare, schioccare………

È tempo…è tempo per me ora di terminare.
A voi tutti il mio saluto, arrivederci.