venerdi sera gruppo di ricerca medianica e spiritismo

Quelli che sono morti non se ne sono mai andati sono nell’ombra che si rischiara e nell’ombra che si ispessisce I morti non sono sotto la terra sono nell’albero che stormisce, sono nel bosco che geme, sono nella dimora, sono nella folla Ascolta più spesso la voce del fuoco, odi la voce dell’acqua ascolta nel vento del cespuglio i singhiozzi è il soffio degli antenati I morti non sono sotto la terra, sono nel seno della donna. sono nel bimbo che vagisce sono nel fuoco che si spegne

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21 maggio 2008

sedicimaggio 08


Ancora, adesso io Emanuele, per il cerchio, il cerchio spiritico.

Mi allontanerò nuovamente da quella che è l’attenzione su Emanuele ed in modo particolare sull’Emanuele della grotta di Qumran, anche se desidero, voglio e vorrei tanto che anche voi voleste essere con me, attraverso il corpo comune, nella grotta, la grotta di Qumran.
Cercheremo quell’immagine per poter scambiare, per poter condividere quello che è il nostro corpo comune.
Dopo venerdì scorso, però, mi sono accorto che credevo – sbagliando – di aver abbandonato la paura di morire, ma in fondo è ancora presente in me e quando il distacco…il momento in cui io debbo scaricare, debbo cedere quella parte vitale che ancora riconosco in me, ho di nuovo paura e l’abbranco di nuovo a due mani per portarmela dentro affinché pulsi e dia calore e luce a quell’involucro che definisce Emanuele nel suo essere concreto, definito, conosciuto…ma anche da me, non solo dagli altri o da chi mi sta attorno.
Probabilmente ho ancora bisogno di essere Emanuele il prete, ciò che fu il prete…e ancora è vero, se allora mi chiamavo Emanuele, ancora oggi il mio nome è Emanuele, non vi è dubbio, e al sentire che qualcosa si disgiunge da me, si stacca, mi assale ancora questa paura che credevo di avere superato, ma ho solo motivato, ho solo giustificato, ho solo creato soddisfazione al mio modo di pensare, di ragionare.
Il quadro è sicuramente più definito, ma passare da ciò che è l’immagine alla realizzazione di essa ancora mi crea timore…sento questa difficoltà…
Il tesoro indubbiamente è questa vita che pulsa dentro di me e la condivisione di essa è proprio offrirla per poter passare oltre, proseguire oltre, abbandonare il calore e il bisogno di esso, abbandonare la luce e il bisogno di essa.
Riuscirò, riuscirò sicuramente con voi a fare questo…ma lasciatemi ancora questo poco di timore che frena, lasciatemi indugiare ancora un po’…
Desidero però che poi il nostro corpo comune sia creato là in quell’immagine che è la mia grotta di Qumran, è desiderio certo per me poterla condividere con voi…e così faremo. Ma alimentiamo, diamo ancora spazio a quella che è la mia mente. C’è il mio bisogno, perché probabilmente è tale, è mio questo bisogno di parlare, di parlare ancora del peccato perché, è vero, io fui prete e non vi è dubbio in questo. Il mio evolvere, il mio cambiare, il mio trasformarmi è stato in qualche modo veicolato attraverso questa veste che era quella del prete.
Il peccato…ha una spiegazione diversa, un senso diverso da quello che era quando anch’io professavo quella fede, quella retta via che era la religione.
Io oggi invece credo che il peccato sia indispensabile all’uomo, sia una presa di coscienza indispensabile, non per nulla credo che all’uomo gli sia affibbiato quale prima azione, come determinazione di esso, il peccato originale. Io sono convinto che quello che è chiamato “peccato originale” sia stata la prima vera affermazione di scelta del libero arbitrio; attraverso essa l’uomo si è determinato tale, entità ben precisa, definita, consapevole. Finalmente riconobbe in sé la possibilità di scegliere e l’uomo lo fece, con piena sicurezza di scegliere.
È stata un’affermazione importante, è stata una dichiarazione importante, indispensabile affinché potesse – il cammino dell’uomo – essere finalmente un’evoluzione.
Il giardino. Già ve ne parlai di questo giardino, del recinto il quale proteggeva, il quale impediva all’uomo di poter sbagliare, ma in fondo l’uomo aveva veramente e solamente bisogno di poter sbagliare per poter iniziare il suo cammino.
È stato chiamato peccato originale ma fu indubbiamente la salvezza dell’uomo…e ognuno di noi commette questo peccato originale; non è vero che fu commesso solamente dal primo uomo e noi ne portiamo la colpa, quale fosse un marchio. Ognuno di noi ha commesso il proprio peccato originale attraverso l’attivazione cosciente del libero arbitrio, la scelta.
Quando si dice che il Cristo venne per poterci mondare da questo peccato, non è stata la sua vita, la sua morte il mondarci, il liberarci, l’affrancarci da questo peccato…no…è stata semplicemente l’immagine di come l’uomo avrebbe potuto liberarsi, prima affermando la propria essenza di uomo nelle sue tre componenti per poterle poi abbandonare coscientemente.
Ma se l’affermazione non veniva fatta, se l’affermazione non avviene con forza e con piena potestà da parte dell’uomo, che affermazione è?
Il libero arbitrio è proclamare, è affermare, è rivendicare la propria individualità, dare un nome a quell’involucro fisico, a quegli abiti che l’essenza veste nella sua scelta di vita terrena.
Indubbiamente l’immagine del Cristo ci ha dato la visione della possibilità di libertà da questa affermazione, da questo abito…ma è impensabile credere che il Cristo ci abbia precluso la possibilità di peccare del peccato originale.
Il peccato originale è, ripeto, l’affermazione della individualità dell’uomo; senza questo peccato originale difficilmente l’uomo sarebbe stato tale e avrebbe potuto camminare sull’evoluzione che gli compete e gli spetta.
L’immagine del Dio fatto uomo non è altro che la dimostrazione della possibilità reale dell’affrancarsi attraverso un’esperienza concreta, legata ad un corpo fisico, legata alle vesti dell’uomo e – come già vi ho detto – affermarsi per potersi poi liberare da questa affermazione..
Ma non posso liberarmi da essa se non coscientemente scelgo di poter abbandonare questo libero arbitrio…ma dopo averlo affermato con forza, con coscienza, dando un nome, chiamando questo nome forte affinché sia udito.
Grazie al peccato originale! Senza di esso difficilmente l’uomo avrebbe avuto gli strumenti necessari per poter progredire, per poter affermare la propria esperienza.
Io non vorrei…non desidero che questo mio dire sia solamente un bisogno che appartiene ad Emanuele, ma è diventato quasi indispensabile – per la mia ragione – di collocare alcuni concetti che ho rifiutato quando rifiutai la mia immagine di prete. È facile e a volte scontato quello di rigettare tutto quanto si è raccolto attraverso anni di vita…ma se può essere comprensibile quale prima reazione alla presa di coscienza di un errore, diverrebbe colpevole non cercare di recuperare ciò che è il vissuto in quel periodo di vita che si crede possa essere stato sprecato.
Questo mio bisogno di incastrare uno nell’altro questi pezzi che io avevo gettato a terra, rifiutato, credo che sia indispensabile per recuperare anche quel tempo che io credei sprecato, sbagliando in questa mia convinzione. Potrei ben evitare di volgermi indietro ma ho la sensazione – e non solo una sensazione – che sia questo mio condividere con voi queste cose che mi porti a volgermi indietro.

Cerchiamo il corpo comune ora…cerchiamolo con rinnovata energia.
Non abbiamo di certo abbandonato questa nostra possibilità, sentiamoci convinti ancora in essa, in questo nostro essere assieme, in questo nostro condividere per creare qualche cosa che divenga più grande di noi, che ci superi, che travalichi i nostri limiti. Cerchiamo di cedere gli uni agli altri, cerchiamo di trarre forza, coscienza in questo nostro superarci.
Visualizziamo quella grotta di cui vi ho parlato…io la chiamai Qumran.
Un raggio di luce, di sole, casca dall’alto…il cono di luce è ben definito, preciso, quasi solido e illumina uno spazio sul quale ci sono dei sassi; io so qual è il mio e non ho esitazioni ad andare verso di esso. Cercate anche voi il vostro, sentite qual è perché vi appartiene, vi appartiene lo spazio che è attorno ad esso, la sabbia sulla quale poggia; la porzione di luce che cade su di esso vi appartiene, in essa vi riconoscete, il vostro corpo riconosce quel sasso come il vostro posto sul quale è facile abbandonare controllo, rigidità, tensione, sul quale è facile abbandonarsi senza timore di cascare, sul quale è facile cedere perché nessuno ci può minacciare, niente ci può urtare, perché è il nostro posto.
La luce del sole casca dall’alto…anche se chiudiamo gli occhi sentiamo la sua presenza, il suo colore che ci lega in un unico cerchio dove nulla è nascosto, dove tutto quanto è palese e galleggia all’interno di questo cerchio.
Non c’è nulla da interpretare, da svelare, tutto è come appare. Ciò che noi siamo è lì con noi, tutto ciò che ci serve è lì con noi, tutto ciò che abbiamo ci sta accanto.
La luce come un’acqua scorre sul nostro corpo, crea una direzione, un movimento…è piacevole sentirsi accarezzare, svelare, scoprire da questa luce.
È facile cogliere e leggere le presenze che sono con noi in questo cerchio…anch’esse hanno ceduto, anch’esse sono svelate…
Il nostro corpo è completamente rilassato, ma c’è qualcosa dentro di noi che ancora è desto, caldo, luminoso, cerca la nostra attenzione, desidera essere riconosciuto, palese…..

Riprendiamo contatto, sentiamo il nostro corpo, sentiamo il sasso, la rigidità di esso, il sasso sul quale siamo seduti….risaliamo…
Esiste una forza, un movimento che io ho imparato a cogliere, a riconoscere in questa grotta ed è un movimento che va in due direzioni opposte una all’altra…il mio corpo tende a cadere, ad abbassarsi verso terra, ma qualcosa levita verso l’alto,quasi che questo movimento cercasse di spezzare, schioccare………

È tempo…è tempo per me ora di terminare.
A voi tutti il mio saluto, arrivederci.

novemaggio 08


Ancora, adesso io Emanuele, per il cerchio, il cerchio spiritico.

Mi sto accorgendo di correre un pochino troppo e, con questo mio correre, di arruffare ciò che dico, creando una matassa…sì…ma da quando ho compreso che era la paura che mi impediva di morire veramente, di morire alla vita terrena per passare alla nuova condizione che mi spetta oggi e che è quella dell’essere disincarnato, dello spirito…quando ho preso coscienza di questo mio fatto, come un fiume in piena scorrono in me le comprensioni, le prese di coscienza, le piccole tracce che cercano in qualche modo di creare quel disegno che tende a ritrarre il tesoro che ho trovato, e credo che sia importante che io arrivi a condividere con voi quello che è stato il mio tesoro trovato nella grotta di Qumran; ma ancora mi è difficile arrivare a dipingere, a delineare, a concretizzare immagini in questo mio trovare.
Però aver davvero liberato quella sensazione di incapacità che opprimeva il mio essere qui con voi, quella paura legata al terrore di pensare di non poter più essere, se non riflesso di voci che voi portavate, di concetti che andavano a rimuovere ostacoli e a rivivere sensazioni e occasioni legate al mio vivere da uomo.
Oggi so che posso anche in modo diverso, io oggi so, certo sono, di poter essere ancora Emanuele…però rallentare affinché possa io condividere veramente con voi, dialogando in qualche modo e cercando di svolgere pensieri e desideri di pensieri di condivisione di punti di contatto, di riconoscimenti, di riflessi in uno specchio con voi. Credo che sia importante, che sia indispensabile.
Però, torno a dire, il bisogno che ho ancora è quello di cercare – nel modo migliore – di donare a voi l’immagine di ciò che trovai in quella che io chiamo la grotta di Qumran. Torniamo assieme là.
Tutto nacque in una chiesa, in una chiesa che io ben conosco e ho conosciuto, perché io ero rettore di quella chiesa. Lo scranno più bello, quello più in alto, quello, quello meglio intarsiato, quello sicuramente più riconosciuto di tutti gli altri, mi apparteneva, era il mio…a nessun’altro era permesso di sedere su quello scranno.
Quel mattino giunsi, chissà perché, con tutto quel tempo in anticipo e quanto ribolliva in me la stizza e l’ira nel vedere che nessuno mi aspettava già per la cerimonia! Ci misi del tempo a comprendere di aver sbagliato il tempo. Quando mi resi conto che l’errore fu il mio, decisi di attendere..non conoscevo l’ora, non sapevo quanto sarebbe mancato all’arrivo dei miei fratelli e questo non sapere mi dava incertezza, vulnerabilità.
Decisi comunque di rimanere, ero sul posto che mi competeva; quando fossero giunti i miei fratelli io sarei stato là dove era giusto che fossi. Il sonno mi sorprese…io lo chiamo sonno perché non ho modo diverso per poterlo definire…e mi persi.
Dapprima svanì l’odore di incenso, il freddo, l’umidità di quei miri, la presenza incombente di quei volti che io chiamavo padri, quel Cristo appeso e sanguinante, quelle luci che creavano angoli bui, zone vuote.
Lentamente mi abbandonai al buio e al freddo………………………………………………………
Sono seduto su una pietra…non è certamente un sedile scolpito, è uguale, simile a tutte le altre pietre che attorno a me si trovano, disposte alla rinfusa, senza nessun ordine, motivo.
Un raggio di sole illumina l’antro. Esso ha la possibilità di togliere il freddo, il timore di non vedere.
Non sono vestito dall’abito, non calzo scarpe. Sicuramente però il libro è sulle mie ginocchia…sento delle presenze attorno a me, ma non sono riconducibili a volti, immagini, statue.
Sono nel buio attorno a me, il buio creato dalla luce che mi illumina, quel raggio di sole in cui vedo galleggiare particelle che si muovono e danno forma a questo raggio che cade su di me e che ha la funzione di illuminarmi, di scaldarmi, ha il compito di indicarmi qual è la direzione, dove si trova l’alto e dove mi trovo io.
Non ho bisogno di scrutare il buio che mi sta attorno, non temo le presenze che si trovano attorno a me, mi sono care e io sono caro a loro….è grazie a loro che questo raggio mi illumina e mi rende centro, fulcro di questa situazione.
Cedo attenzione, abbasso la guardia, chiudo gli occhi..le mie palpebre si rilassano, cedo tensione, rigidità. La luce che casca dall’alto mi aiuta a cedere…non devo aver timore di perdere l’equilibrio, di cascare, è stupido pensarlo. È quella luce che mi sorregge, quel cono di luce.
Le mie braccia sono attirate dal terreno, m’abbandono alla forza che mi attrae verso terra…è facile anche infilare i miei piedi nudi in quella sabbia rossa, fine, calda…le mie ginocchia cedono e perdono il sostegno, non sono fatte a reggere libri di sorta…il libro casca a terra, senza rumore…le pagine sono bianche, vuote da ogni sillaba…che si siano riversate nel terreno anche loro, attratte verso il basso?
La luce come acqua scorre sul mio corpo, lo dilava, lo denuda, ogni sporcizia è tratta a sé dall’acqua, cade a terra e dalla sabbia come spugna viene assorbita, filtrata, nascosta.
Sto ancora respirando, i muscoli del mio petto sono gli unici ancora attivi, ma so che anch’essi cederanno….ma non ho timore che ciò avvenga…………………………………………………….
C’è qualcun altro ora, assiso sulla pietra di fronte a me.
Il suo nome….ti prego……Emanuele……………………………………………………………….
….KALYSTOS…JANUA….FILIUS….KRAI……………………………………………………..

Non sono ancora capace di portare questa cosa che ho dentro di me , fuori, affinchè voi possiate partecipare.....temo che io non voglia farlo, probabilmente è questo che mi impedisce di far sì che voi sediate lì, di fronte a me e che io ceda resistenza a voi, affinché possiate cogliere questa cosa…
Credo che sia la vita che pulsa dentro di me e che ancora temo mi venga portata via…..ma proveremo ancora…..
Imparerò, saprò cedere meglio, ne sono certo.

È tempo……..