venerdi sera gruppo di ricerca medianica e spiritismo

Quelli che sono morti non se ne sono mai andati sono nell’ombra che si rischiara e nell’ombra che si ispessisce I morti non sono sotto la terra sono nell’albero che stormisce, sono nel bosco che geme, sono nella dimora, sono nella folla Ascolta più spesso la voce del fuoco, odi la voce dell’acqua ascolta nel vento del cespuglio i singhiozzi è il soffio degli antenati I morti non sono sotto la terra, sono nel seno della donna. sono nel bimbo che vagisce sono nel fuoco che si spegne

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27 marzo 2008

ventunomarzo 08


Ancora, adesso io Emanuele, per il cerchio, il cerchio spiritico.

La morte sta diventando compagna presente in questo cerchio. È un argomento per il quale siete consci che si debba parlare, lo si debba affrontare in qualche modo, misurare su sé stessi.
Questa sera è certo anche una morte importante che si celebra, il Venerdì Santo.
La morte fu sempre compagna della vita dell’uomo; più che la morte in sé stessa – come già vi ho detto venerdì – i morti, i nostri cari defunti, sono presenza costante, vicino a noi, nella nostra vita, nel nostro agire…sono realmente presenti e connessi, interagiscono nello spazio quasi, così come anche vi dissi, nello spazio in cui voi vi muovete inconsci, a volte, della presenza di queste figure che sono i vostri cari defunti.
Quando si parla di diverse dimensioni, di mondi diversi, non è vero…sono qui presenti, in questo spazio, in questo tempo, con vesti sicuramente normali, con capacità di essere diverse dalla vostra, ma sono qui con voi…lo spazio è unico e il tempo è lo stesso e così deve essere.
Voi avete bisogno di chi è vissuto ed è morto e loro hanno bisogno di voi che ancora vivete. La presenza costante e ricorrente – torno a ripetere – non è quella della morte, è di coloro che sono morti.
Io mi ricordo, per quella che fu la morte di mia madre – io fui molto legato alla sua figura - che mi sentivo tanto suo figlio e sentivo prezioso il legame che c’era tra me e lei.
Ciò non fu per mio padre, il quale era sempre in contrasto con il mio modo di essere e il confronto ci logorava, a volte. Io fui sferzato, a volte, dalla sua presenza; con mia madre fu diverso, mi era facile cedere ed abbandonarmi a lei per quello che ero veramente. È per quello che la sua presenza, la sua vita, ha lasciato traccia profonda dentro di me…ma è della sua morte, della sua dipartita, che volevo parlare.
Io ancora mi ricordo che quando si stava preparando alla morte, il suo fu veramente un cammino, una passeggiata incontro ad essa. Ella preparò, preparò tutto quanto…dagli abiti che avrebbe dovuto indossare per quel viaggio, per quel cammino, a ciò che avrebbe dovuto essere fatto, essere detto, per accompagnarla.
Ricordo che ci chiamò tutti quanti, io discosto da quelli che erano i miei fratelli e mio padre perché il mio abito mi rendeva estraneo a volte, a quella famiglia…e chiamò tutti quanti e ci salutò uno per uno. A me diede informazioni su ciò che doveva essere la mia frequentazione al cimitero, perfino a questo mi chiese promessa. Doveva essere non più che una volta alla settimana, quali fiori avrei dovuto portarle, tanto era certa che avrebbe goduto ancora della mia presenza e dei regali, dei doni che avrei fatto alla sua tomba.
Io non capivo, mi sentivo estraneo a questo affaccendarsi di mia madre, ma oggi lo capisco meglio, mi è più chiaro. Non incontrai mia madre dopo la mia morte; questo fu un grande cruccio per me, ma certo sono che fu proprio per questo legame che io avevo con lei, questa mia dipendenza, bisogno.
La morte era compagna per l’uomo che viveva; i morti, i defunti, erano in famiglia, condividevano ancora con i vivi.
Desidero dire anche qualcosa in merito alla morte di R.
Mi colpì molto quando C. vi invitò a rispettare ciò che avveniva nella sua famiglia, nel bene e nel male, nella malattia, nella sofferenza. Vi chiese solo di essere pronti ad una eventuale richiesta; per lei già era chiaro ciò che avrebbe dovuto accadere.
La mancanza di C. aveva creato in R. un disequilibrio profondo che solamente la presenza di sua figlia ancorava ancora a ciò che era la vita. Ma il disequilibrio era irreversibile e il passaggio predestinato.
È avvenuto ciò che avrebbe dovuto accadere, ciò che era giusto avvenisse. Nei riguardi di D., ciò che doveva ricevere è stato, la misura è precisa…io sono certo che vi è gioia in questa morte, ed è giusto ciò che è avvenuto.

Ancora una cosa, prima del corpo comune, e riguarda il lavoro del cerchio.
Ciò che sta avvenendo è un urto importante, ma ha da essere tranquillamente assorbito e accolto.
Ciò che avviene è giusto, ciò che avviene è buono…è importante però che misuriate anche la presenza degli altri e quella che sarà la mancanza, il vuoto, lo spazio neutro che potrebbe rimanere in questo cerchio.
Mettete tutto ciò che avete in questo confronto…e tutto ciò che avete sono le tre componenti.
Bene avete mosso la componente mentale, attivata come perfetto meccanismo, ma esistono ancora altre due componenti che devono essere agenti, attive in questo momento.
Io già ve lo dissi, per quello che sono anello di questa catena, è importante che questa catena sia forte, solidale, perché il fatto di essere forte, solidale la rende protetta, la rende capace.
Non è un dettaglio ma è una condizione che può permettere o impedire.
Un’armonia di intenti, una scelta di obiettivo vi chiesi e ve la chiedo anche questa sera.

La catena ora.
Visualizziamo il nostro stagno, spazio di pace attorno al quale
ci poniamo per creare un corpo comune.
Chiamiamo gli amici che desideriamo siano qui con noi,
che desideriamo aiutare o dai quali essere aiutati.
Chiamiamone il nome, cerchiamone il volto, prendiamoli per mano,
che divengano anch’essi anelli di questa catena. La candela al centro
di questo stagno, punto focale che tutti quanti ci unisce….voi uomini
e noi esseri disincarnati, cari defunti.
Sia una festa questo incontro, uno scambio, sia gioia.
Sentiamo l’energia che percorre questa catena, sentiamo che ci riempie,
ci colma, sentiamo che passa oltre, con un movimento che tutti quanti
ci lega, ci rende un unico corpo………………………………………..
lasciamo ora. Ringraziamo gli amici che sono stati con noi, grati della
loro presenza.

Prima di lasciarvi desidero dirvi ancora qualche cosa, continuare il discorso iniziato venerdì scorso, anche se il mio timore è quello di apparire ancora prete, preso dai suoi doveri, ma vorrei tanto credere che la conoscenza che noi ormai abbiamo condiviso superi questi giudizi precedenti, pregiudizi. Quando ero ancora prete, una delle cose che mi stupiva moltissimo nei Vangeli, così come per la storia di Lazzaro, era la richiesta che il Cristo faceva di non parlare con nessuno di ciò che era avvenuto, di quello che veniva chiamato miracolo…eppure io sapevo, ero certo per il modo con il quale agivo e ciò che la mia Chiesa credeva, che proprio i miracoli erano lo spunto per attirare le folle attorno al Cristo, folle sempre più numerose, sempre più uomini che potevano godere dell’insegnamento del Cristo….eppure Lui sempre e sempre chiedeva che non si parlasse di ciò che era avvenuto. Eppure i miracoli erano il traino migliore.
Oggi capisco che la fede non è per ciò che avviene al di fuori di noi, ma la fede è una presa di coscienza intima, ben difficilmente spiegabile agli altri. Cristo sapeva questo ed era per questo motivo che chiedeva che non si parlasse di ciò che avveniva perché sapeva, era certo che lo specchietto per le allodole che erano i suoi miracoli, era polvere che nascondeva la vera Verità.
Il messaggio del Cristo era svelare, era mettere a nudo, era permettere di vedere; cogliere la propria fede non è assistere ad un miracolo, ma è cogliere il miracolo dentro di sé.
Esiste una luce pura, dolce,che attende dentro di noi. Io mi auguro che la possiate cogliere.
Sia una Buona Pasqua per voi e sia veramente il cammino, l’esodo.