venerdi sera gruppo di ricerca medianica e spiritismo

Quelli che sono morti non se ne sono mai andati sono nell’ombra che si rischiara e nell’ombra che si ispessisce I morti non sono sotto la terra sono nell’albero che stormisce, sono nel bosco che geme, sono nella dimora, sono nella folla Ascolta più spesso la voce del fuoco, odi la voce dell’acqua ascolta nel vento del cespuglio i singhiozzi è il soffio degli antenati I morti non sono sotto la terra, sono nel seno della donna. sono nel bimbo che vagisce sono nel fuoco che si spegne

Nome:

23 gennaio 2008

diciottogennaio 08


Ancora, adesso io Emanuele, per il cerchio, il cerchio spiritico.

Credo che sia importante la definizione dell’individualità. Ha il suo tempo e il suo spazio, però.
Se è vero che nel corpo comune l’abbandono cosciente della propria individualità è indispensabile per giungere alla qualità possibile migliore che si possa raggiungere, è anche fondamentale che il componente di un cerchio possa tranquillamente chiedere di cercare, definendo sempre meglio qual è la propria individualità, confrontandola, specchiandola con quelli che sono i suoi compagni di questo cerchio spiritico, a tempo e luogo.
Se voi vedete qual è la misura che io sto cercando di dare in questo cerchio spiritico, dovrebbe essere la traccia. Io continuo a ripetere che il modo migliore per me è il modo che io ho riconosciuto come migliore per Emanuele…però io pongo questo perché non conosco altro, non posso – già tante volte vi ho detto – dire qual è il vostro modo migliore di essere nel cerchio spiritico.
Io, attraverso l’evocazione che voi mi permettete in questo cerchio, cerco di porre l’individualità Emanuele. Questo porre l’individualità Emanuele è sempre stato uno sforzo – per me – di cercare di chiarire a voi quali sono stati i momenti sbagliati o le occasioni non colte da parte di Emanuele.
Io non so precisamente quale debba essere lo svolgersi della mia esperienza di anello di questa catena, ma posso però cercare di dare a voi quali sono stati gli appuntamenti da me disattesi, non colti, non intravisti, interpretati nel modo sbagliato.
Questo è sempre stato importante per me e ancor più lo è oggi, in cui mi è più facile leggere ciò che è stata l’esperienza di Emanuele, senza coinvolgimenti emotivi, dubbi di difficile interpretazione, convinzioni che possono far pensare a pensieri sbagliati – da parte vostra – nei miei confronti.
In fondo voi non mi avete conosciuto, in fondo voi conoscete solamente la mia voce, ciò che io do di me a voi. Ma se questo mio essere Emanuele che cerco di donare a voi andrà sempre più nel profondo, cercando di sviscerare, di chiarire, di spiegare a voi quali sono stati gli appuntamenti persi…sì, forse questo è il termine, gli “appuntamenti”che Emanuele non ha saputo cogliere per poter progredire in quello che è il naturale muoversi verso la definizione precisa. Io mi sforzo in questo senso.
Capisco che voi possiate pensare che sia più proficuo per voi che io vi dicessi quali sono gli atteggiamenti giusti e quali sono i particolari che fanno riconoscere – in una data occasione – l’appuntamento che si pone per poter andare a cogliere ciò che avviene attorno a voi; sarete delusi, perché non ho questa capacità, se non quella di porre davanti a voi un modello di possibile ricerca che appartiene ad Emanuele, che ha il nome di Emanuele ben chiaro.
Capisco che questo ricercare in me quali sono stati questi momenti e poterli dare a voi possa essere proficuo; sicuramente lo è per me, non vi è dubbio. Rendere palesi questi lati che con più difficoltà appaiono, mi porta a progredire verso quella soglia.
Riguardo a questi atteggiamenti che Emanuele non ha saputo con forza affrontare, ce n’è uno di cui vorrei parlarvi questa sera, ed è legato all’esperienza….io cerco di distinguere precisamente ciò che è stato Emanuele prima della grotta di Qumran e quello che è stato dopo quell’incontro – prima fui prete, ve lo dissi – prima era un Emanuele ben definito, riconosciuto, chiaro, limpido, facilmente riscontrabile, verificabile, ero prete, avevo un abito, avevo un modo, avevo una missione, avevo un credo…avevo anche la possibilità di aiutare chi mi stava attorno.
Molti dei miei fratelli venivano a cercare aiuto da Emanuele, riconoscendo il mio ruolo, il mio carisma, credendo nella mia saggezza, nella mia esperienza, ed era – già vi dissi – facile per me rispondere, soddisfare quelli che erano i quesiti che loro mi ponevano, gli aiuti che mi chiedevano.
Mi era facile, tutto era ben preciso, era scritto, ben interpretato e da me professato e vissuto con piena soddisfazione, mia e di chi stava attorno a me e che riconosceva in me un modello, perché non c’era molto da stare a chiedersi riguardo a ciò che era Emanuele allora…era limpida la mia figura, non dava adito a dubbi, a interpretazioni, e proprio per questo mio essere integro alimentava la mia cecità.
Comunque per me era facile soddisfare chi chiedeva da me aiuto, ausilio; parlavo del premio, del Paradiso e invitavo – così come invitavo me stesso – ad agire in questa vita per le occasioni che mi si proponevano, in funzione sempre a questo premio che avrei avuto dopo la morte terrena, al Paradiso. Incutevo anche il timore dell’Inferno e del castigo alle persone che si rivolgevano a me e li invitavo ad essere virtuosi, li invitavo a seguire quello che era il dettame, a seguire quella che era la traccia che io stesso seguivo. La mia vita era davvero in funzione al premio che avrei ricevuto dopo la mia morte: il Paradiso.
Io credevo nell’immortalità, credevo nell’immortalità dell’anima, era salda in me questa convinzione, era indubbia, forte, ma era una convinzione legata alla parzialità del mio essere vivo.
Io non potevo esprimere completamente quelle che erano le mie tre componenti nel mio vivere di tutti i giorni, la mia condizione me lo impediva, la mia veste precludeva ogni possibile altra possibilità…la mia vita era in funzione di quel traguardo, qualsiasi cosa aveva senso in funzione di quel traguardo: il premio.
Poi mi smarrii, per fortuna. Dovetti cedere questa mia integrità, dovetti sbriciolare la saldezza della mia corazza. Non persi fiducia nell’immortalità ma capii che l’immortalità comprendeva la completezza dell’uomo e non solamente della sua parte nobile, l’anima, come io credevo.
Iniziò a cambiare la mia vita in funzione ancora di quello che era la morte e la vita oltre la morte, ma non cambiai la mia vita in funzione del premio…ma il premio cambiò la mia vita.
La mia vita si svolse in modo completamente diverso, cercai di mutare il mio essere cieco, il mio essere sordo, cercai di attivare quelle potenzialità che avevo in qualche modo “castrato”, in funzione della mia veste, ed è la possibilità che avrei avuto se avessi espresso al massimo questo mio essere prete. Nacque finalmente l’uomo Emanuele e, se ancora rimaneva in me salda la certezza dell’immortalità, la mia vita cominciò a cambiare e anche ciò che dispensavo, a chi mi chiedeva ancora aiuto, gli ultimi che mi erano rimasti, che ancora intravedevano in me possibilità…fu diverso, cercai di invitare loro ad esprimere il massimo di ciò che loro erano, senza assurde “castrazioni”.
È chiaro che più non fui quella figura riconosciuta, quell’immagine in qualche modo anche venerata. Divenivo una minaccia a quello che era il modello, la regola…e fui rapidamente tolto di mezzo. Il mio invito che oggi faccio a voi è di credere, aver fede, sicuramente, della vita dopo la morte, ma a non vincolare, limitare, condizionare la propria vita in funzione del premio che ci sarà dopo la morte terrena, ma la certezza di questa vita eterna sia per voi stimolo per vivere in un modo diverso, qui e ora.
Tutto ciò diviene più complesso, si aprono mille possibilità e mille possibilità di errore attendono questo agire con un così ampio raggio…ma la sfida è allettante ed è pregna di soddisfazione, di piacere e di gioia. Fate sì che il passaggio di quella soglia sia con la presenza completa di ognuno di voi, integra; questo permetterà di (…………)

Non voglio dire nulla in merito all’entità che è stata qui con noi venerdì scorso. Vi invito ancora, però, a far sì che il corpo comune sia veramente solidale, forte.
La mia presenza, il mio pensiero, le mie convinzioni, cerco di non portarle nel corpo comune e l’avrete anche chiaramente compreso, avrete capita la mia non-presenza nel corpo comune; ma non era non-presenza…era sicuramente presenza migliore nel momento in cui non ponevo convinzioni, sicurezze, direzione, nel momento del corpo comune.
Io anello catena paritario, solidale, così come chiedo a voi. Che sia la vostra presenza; fate sì che il corpo comune sia il momento magico, il momento dove tutto quanto è possibile, dove la magia possa scoccare.

Visualizziamo la catena, cerchiamo gli amici che con noi la compongono, cerchiamo gli amici di cui abbiamo bisogno per creare questa catena, cerchiamo anche gli amici che hanno bisogno di fare parte di questa catena.
Cerchiamone il viso, chiamiamone il nome, afferriamo con forza la loro mano e portiamoli qui con noi. Punto focale di questo cerchio è la candela che tutti quanti possiamo vedere allo stesso modo, nello stesso tempo… ci fa sentire uniti, presenti.
Sentiamo l’energia che corre in questa catena, è la nostra energia, è l’energia comune. Lasciamoci colmare…

Mi sono trovato al buio…dapprima sedetti in un cantone aspettando…aspettando che qualcosa venisse a dipanare quel buio che mi avvolgeva.
Capii che il buio non era legato allo spazio attorno a me,capii che il buio era la condizione che mi apparteneva.
Può essere piacevole il buio, se sei in grado di spegnerti in esso, di poterti riposare, di chiedere che l’affanno si cheti, perché fu una corsa, per me, che mi portò a trovarmi in questo buio, ad essere buio. Devo cessare di dire che mi trovo nel buio…perché io oggi sono questo buio.
Pensavo che questo attendere mi permettesse di davvero chetare l’affanno.
L’affanno si è chetato…e iniziai a muovermi; mi verrebbe, mi scapperebbe di dire che avrei iniziato a camminare in questo buio, in una direzione che io avevo scelto, in una direzione precisa, verso la quale mi rivolgevo per allontanarmi da questo – ancora sbaglio dicendo che il buio è attorno a me-
ma fu normale,umano per me cercare di muovermi e dirigermi in una direzione; comunque, se anche non erano i miei passi che spostavano nello spazio il mio corpo, io comunque mi muovevo.
Mantenetti vigile quello che pensavo fosse ancora l’udito e sentii attorno a me delle presenze che si muovevano a fianco a me. Non cercai di chiamarle, non avrei saputo chi chiamare….
Eppure mi dissero – prima di morire – che avrei dovuto cercare qualcuno, che qualcuno mi avrebbe aspettato qui, dove mi trovo oggi…ma non avevo nomi da pronunciare.
Era già sufficiente comunque sentire che si muovevano attorno a me queste presenze. Mi domandai chi avrei dovuto chiamare. Chi avrebbe potuto aiutarmi? I nomi che salivano alle mie labbra erano di persone che erano rimaste ancora vive, là…in quel posto che io di certo avevo lasciato.
Mi par di udire voci attorno a me…e ho il timore che queste presenze possano avvertire la mia presenza. Vorrei tanto volgere lo sguardo, ma sento che questo mio muovermi mi allontana da quelle persone che ho lasciato vive là, accanto al mio letto…duro, di quercia…chiuso con un pesante coperchio, sigillato da robuste viti.
Non è vero che ho paura…vorrei tanto che qualcuno stringesse ancora la mia mano con forza…ma il mio nome vi è estraneo, voi non mi conoscete…
È meglio che ancora mi accoccoli a terra e che cerchi di chetare l’affanno della corsa che mi ha portato qui…


Visualizziamo nuovamente la catena, cerchiamo la candela al centro di questo stagno, lasciamoci da essa scaldare…

Ringraziamo gli amici che sono stati con noi, grati della loro presenza.

È tempo, è tempo per me ora di terminare, a voi tutti il mio saluto, arrivederci.