venerdi sera gruppo di ricerca medianica e spiritismo

Quelli che sono morti non se ne sono mai andati sono nell’ombra che si rischiara e nell’ombra che si ispessisce I morti non sono sotto la terra sono nell’albero che stormisce, sono nel bosco che geme, sono nella dimora, sono nella folla Ascolta più spesso la voce del fuoco, odi la voce dell’acqua ascolta nel vento del cespuglio i singhiozzi è il soffio degli antenati I morti non sono sotto la terra, sono nel seno della donna. sono nel bimbo che vagisce sono nel fuoco che si spegne

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01 maggio 2007

ventisetteaprile 07


Ancora, adesso io Emanuele, per il cerchio, il cerchio spiritico.

La morte e la paura della morte, torno a ripetervi, è un argomento che ha da essere tenuto presente qui, in questo cerchio, e vorrei questa sera un pochino parlarne, per dare un’immagine più concreta, più reale, di questo termine, di questa morte e la paura che l’accompagna.
Da essere disincarnato, da spirito, ho avuto la possibilità di seguire la morte di molte persone da me conosciute, ma due furono le morti che più mi insegnarono, che più furono in grado di darmi bagaglio, esperienza.
La prima fu la morte di mia madre; mia madre morì molti anni dopo che io fui condannato e ucciso, ed ebbi tutto il tempo per preparare la mia veste di spirito, di disincarnato, e quando la morte giunse per mia madre – e fu morte di vecchiaia – io ebbi il regalo, l’occasione, il dono di poter assistere alla sua morte e dico assistere perché altro che vedere non potei. Mia madre morì di vecchiaia, morì nel suo letto, morì accudita dai suoi figli, i miei fratelli che mai conobbi…solamente il nome fu per me conosciuto. Fu una morte dolce, che la stanchezza aiutò.
Io non la incontrai dopo il trapasso, non ho ancora capito bene come fu…ma osservai con attenzione. Era affascinante ciò che avveniva…mi diede una dolce tranquillità che ancora oggi riconosco dentro di me e che in molte occasioni mitiga il mio giudizio e il mio agire.
La seconda morte, che fu ben diversa dalla prima, fu quella del mio fratello che mi accusò e mi condannò. Non fu una fine così come quella che fu di mia madre; il mio fratello lottò molto durante la sua vita per raggiungere il potere che aveva intravisto e che tanto agognava, ma mai ebbe la possibilità di poterlo raggiungere.
Dapprima pensai che fosse la giusta mercede per le sue azioni durante il vivere, per le sue decisioni, per le sue azioni, per quello che io leggevo come male che lui perpetuava attraverso la veste che io gli lasciai. Fu una morte molto sofferta, la quale scavò molto anche in me…io fui costretto ad assistere, passivo, alla sua morte. Questa esperienza non ha lasciato molta traccia in me, se non un’ incapacità di comprendere, di capire, di intuire.
Io non incontrai Giustino dopo la sua morte…così come fu con mia madre – e anche di questo non capisco bene perché, ma non è importante che io arrivi a capirlo, a comprenderlo – così doveva essere, probabilmente. Passai da una sensazione a una provocazione che appartenevano al singolo e unico momento…la morte. Stanno ancora cozzando tra di loro queste due sensazioni, queste due tracce; capisco bene che è così perché non fui in grado di interagire, di essere presente a questa morte. Io fui solamente, a queste morti, spettatore.
Che cosa c’è di affascinante nella morte, così capace di offrire aspettative? Accompagnare qualcuno alla sua morte terrena io credo che sia uno dei momenti più importanti, una delle occasioni più capaci di offrire conoscenza e coscienza; accompagnare qualcuno alla sua morte, essere con lui, poter interagire, poter scambiare, a volte ,rapidamente, sensazioni ed emozioni, grida, sospiri, è uno dei passaggi, è uno…
Che cosa c’è di così affascinante nella morte di un uomo?
È l’intravedere la propria immagine, è leggere il proprio futuro, è precorrere quella che sarà l’azione di domani, l’azione che ci aspetta, ci attende, ci chiama. Riuscire ad essere davvero presenti alla morte di un compagno può dare davvero quello scossone, quella spinta, quella forza ulteriore alla preparazione della nostra morte, ma bisogna essere in grado, bisogna essere capaci di essere con la persona che sta morendo. Vi sarà successo più d’una volta, è successo anche con C, in qualche modo, vi sarà successo che ci sia questo pudore, questa difficoltà a mostrarsi, ad esprimere ciò che si vive quando non c’è più speranza, quando la traccia è ben definita, ineluttabile e scontata, quando non esiste ritorno. Però l’amico, la persona amata, cercano sempre di proteggerci da questa visione, da questa partecipazione, ma bisognerebbe essere in grado di cogliere, di essere capaci di forzare la comunione in quel momento.

L’immagine che già vi ho mostrato, quella della campana, è l’immagine che può dare un senso molto reale…una persona che si sta avvicinando alla morte vibra, vibra di un’intensità talmente capace, forte, che se si ha la possibilità di porsi accanto, anche noi andiamo a vibrare nella stessa sintonia, trascinati da quell’unica vibrazione. Ma il timore (della persona che sta per morire) di mostrarsi è grande…mentre invece sarebbe così dolce poterle permettere di esprimere questo suo morire….
Da spirito – da spirito guida, anche – ho avuto la possibilità, vi ho detto, di vedere molte persone morire, e quando una persona non si sente osservata, è libera di poter rendere visibile, percepibile, la sensazione e la rabbia, l’impotenza e il desiderio. Però vederlo non è sufficiente, esserne testimone incapace di interagire non è sufficiente.
Essere davvero in grado di porsi accanto a un persona che amiamo e che sta preparando il suo passaggio, può essere un momento magico, un dono veramente prezioso e, torno a dire, il compito dello spiritismo dovrebbe essere anche questo: permettervi di accostarvi a qualcuno che già è morto, che ha lasciato la vita terrena e che sia in grado di dare misura di questo dono che è la morte – è facile parlare della morte quale dono, ma capisco quale distorsione sia alle vostre orecchie quando vi dico che la morte di C è stato un dono prezioso per questo gruppo – ma così è, è un dono prezioso che noi manteniamo per pudore, per educazione, per consuetudine…lo manteniamo incartato, quasi lo sfioriamo senza toccarlo. La morte…….
Io non sono contento quando qualcuno di noi dice “non sono disponibile a pormi accanto all’amico che sta preparando la sua morte”…. E’ questo il mio pensiero.
Giocate ancora un poco sul fascino della morte, ma abbiate certezza che vi appartiene e la paura è gonfia forza dentro il vostro apparire…………………………………………………………………
Lo stagno ora; cominciamo a visualizzarlo, è un’immagine a noi nota, conosciuta, ci appartiene, è nostra. Ci abbiamo messo tanto tempo a definirla nei minimi particolari, perché potessimo riconoscerla come nostra……………………………………………………………………………...
Iniziamo a far scorrere l’energia in questa catena…………………………………………………….
Dal centro dello stagno parte un’onda che si avvicina sempre di più…………………………………
Cerchiamo di cogliere senso…messaggio….voce…………………………………………………….

Non è vero che la forza che si metteva su quel dito era forzare senso nel messaggio che ne scaturiva, ma era un modo per trascinare, portare con sé tutti gli altri diti che erano posti su quel fondo di bicchiere. A volte serve trascinare, portare con sé, indicare la via; se poi l’attenzione – che io credo oggi latiti un pochino – fosse forte così com’era allora…un coro di voci, così come un coro di spinte su quel fondo di bicchiere avremmo. Senza le dita che spingevano su quel bicchiere non ci sarebbe stato messaggio.
Oggi è più semplice, è meno facile riconoscersi, perché comunque io il dito là su quel bicchiere non ce l’ho più oggi…e non si può neanche pensare che lo spingessi per andare in una direzione più precisa, che rispondesse meglio ai miei bisogni – che rimangono quelli di oggi – in attesa di soddisfazione.
Io credo che voi abbiate bisogno di qualcuno che trascini l’azione vostra, raggruppandovi, alzando a volte la voce, mettendo maggior forza su quel dito che pigia su quel fondo di bicchiere.
Torniamo a riconoscerci, dare un nome, porre un dito sulla richiesta…il mio c’è.
Rimango ancora fuori dalla stanza – se possiamo chiamarla stanza – destare attenzione, risvegliare l’animo, definire meglio l’altro che si trova fuori della stanza. Non può essere in questa stanza con noi…un estraneo, per di più morto, lontano nel tempo…estraneo, diverso.
D. (N) Cosa intendi per “ diverso “ ?
Che non assomiglia a nessuno di voi.
D. Si, ho capito, ma nel senso fisico. E in senso metaforico?
Oh ..anche ciò che dico non vi appartiene…è mio! Se fossi di nuovo in grado di porre il dito là, su quel fondo di bicchiere, non ci sarebbe bisogno di porsi tante domande.
D. Ma si ponevano anche allora le domande, no?
Voglio qualche cosa…voglio entrare in questa stanza.
D. Sei tu che vuoi entrare in questa stanza, o chi ti ha spinto qui?
Io .
D. E cosa dovremmo fare per accoglierti in questa stanza?
Riconoscermi.
D. Dicci chi sei, fatti conoscere.
I nomi distraggono…fatemi dire, fatemi dare peso di nuovo su quel bicchiere.
D. Fingiamo che ci sia il bicchiere e che tutte le nostre dita siano lì.
Non ce n’è neanche uno! Ora l’attenzione è desta,ma solo perché io sono estraneo,io non sono uno di voi,è per questo che l’attenzione ora è desta. Pare sciocco, ma è un gioco e voi siete abili in esso.
D. No, tu sei abile; ti piacciono gli enigmi?
La possibilità di contrapporsi, di porsi di fronte ad un altro, quest’altro deve essere estraneo, non devo essere io, non deve essere uno dei nostri, ma deve essere fuori della stanza; in questo modo mi permette di poter esprimere al meglio quelle che sono le mie abilità. Il confronto: “Che dica, non ascoltiamo? Poi decideremo…”
D. No, ascolto…
Non siete più capaci…
D. Di ascoltare?
Di fronteggiare.
D. Tu vuoi provocare?
Io voglio dare peso.
D. Sì, ho capito, ma noi non siamo disposti al bicchiere. Aiutaci in un altro modo, ma non col
bicchiere. Perché continui a nasconderti dietro quel bicchiere?
Perché è il mezzo che conosco.
D. Ma stai parlando, quindi conosci anche questo mezzo.
Potremmo fingere un gioco.
D. Sentiamo…
Lo preparerò.
D. Perché ti piace tanto giocare?
Perché sono un bimbo.
D. Sei un bimbo sempre metaforico, dato che sono tanti anni che sei nato da noi.
Ma non sono mai cresciuto…
D. Per tua volontà?
Sono un bimbo che ha bisogno di appartenere a qualcuno…sono un bimbo che non vuole rimanere solo…sono un bimbo che vuole giocare…
D. Va bene, proviamo a giocare, vediamo cosa proporrai…
Lo farò.
D. E il tuo nome, non lo vuoi dire?
Torneremmo all’errore.
D. Va bene…ti chiamerò bimbo….